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lunedì 21 dicembre 2009

Dai ciottoli alla cifra: la nascita del calcolo e della scienza.

 dott.ssa Diana Bitto

Nel tempo si comincia a pensare ad un segno riassuntivo di un valore.
Nel 3300 a.C. ci sono delle tavolette dove vi è impresso il sigillo e altri segnetti. Le bulle si evolvono: non c'è più nulla dentro perchè i valori sono impressi assieme al sigillo sulla superficie. Mantengono comunque una forma tondeggiante che ricorda le prime bulle.
Inizia il periodo dei re sacerdoti quindi le bulle non servono più perché si produce tutto per il re. Vi è quindi un'ulteriore evoluzione delle bulle che si appiattiscono e divengono delle tavolette che sono attribuire a degli atti reali su cui compaiono delle quantità.
Queste figure si complicano.
Le offerte al tempio ad un certo punto divennero eccessive e si sviluppa un sistema di prestito. Da qui nasce il concetto di interesse sui prestiti.
Incominciano a svilupparsi le prime scuole dette "stanze delle tavolette" che venivano frequentate dai futuri scribi. In queste stanze vi erano dei banchi come nelle scuole odierne. Le tavolette che venivano prodotte come esercizio sono giunte sino a noi.
Ad un certo punto ci si rende conto che scrivendo in piccolo lo stiletto produceva dei granuli che rendevano poco leggibili la scrittura cosí i segni cominciano a semplificarsi.
I segni numerici erano differenti di zona in zona. Ci troviamo di fronte a diversi sistemi numerici.
La maggiorparte di queste tavolette sono scritte su entrambi i lati, sul retro vi è il riepilogo numerico.
Le popolazioni semitiche hanno parole lunghe (polissillabiche), mentre i sumeri hanno parole molto corte (monossillabiche).
I sumeri vanno alla conquista dei popoli semiti. Gli schiavi più svegli vengo messi a gestire i magazzini. Lo schiavo non ha il sigillo ma deve responsabilizzarsi per mezzo della dichiarazione del suo nome, così prende i fonemi che sente (corrispondenti al suo nome!) e li riporta in sequenza così facendo i segni non sono più degli ideogrammi ma sono legati ai suoni e sono ora privi di senso nella lingua originaria. Si va così a creare un nuovo idioma.
In sintesi, l'evoluzione del conteggio di quantità avviene attraverso i seguenti oggetti:
  1. Totem;
  2. Segnalino;
  3. Bulle.
Passiamo quindi dagli oggetti solidi ai loro stampini sull'argilla.
Si cominciano a trovate delle tavole con i calcoli già pronti.
Nelle unitá di misura non esiste un sistema decimale ma un sistema misto.
I simbolini che venivano prima impressi divengono dei caratteri cuneiformi. Successivamente avranno un'ulteriore evoluzione che rappresenterà ogni singolo numero e non più un gruppo di valori.
È molto diffusa la presenza di tavolette di moltiplicazioni che in sintesi rappresentavano le tabelline.
Le tavole dei quadrati servivano per fare le moltiplicazioni.
Avevano anche le tabelle con le frazioni per fare le divisioni.
Esistevano, inoltre, delle tavole di conversione delle unità di misura nonchè delle tavolette contenenti dei problemi di geometria.

Auguroni ^^

lunedì 7 dicembre 2009

L’avventuroso viaggio ai primordi dell’alfabeto. Il cammino a ritroso dall’Avestico al Sumero.

Società Friulana di Archeologia
dott.ssa Diana Bitto

Gli uomini dell'antichità erano soliti a raccogliere oggetti per contare (conchiglie, sassi, palline di argilla, etc.)
Nel 7000 a.C. vi è la nascita di aggregati urbani. Qui vi ritroviamo case rettangolari attacate tra loro in cerchio a mo' di bastione. Non vi sono finestre se non verso l' interno dell agglomerato. Si entra dal tetto. Si adora la dea madre e il toro e ci sono delle corna incastonate nel muro. All esterno del bastione vi sono i campi.
La prima moneta al mondo nasce ad Efeso, ciò significa che al tempo, in queste zone, vigeva ancora il baratto.
Si verifica un plus valore. Nascono così delle figure non legate alla coltivazione e all' allevamento.
A quel tempo venivano usati dei pezzi di argilla sagomati in maniera diversa le cui forme si rifanno alla morfologia di pecore, mucche, pani, etc. Erano dei gettoni numerici, ma non si sa a che numerazione corrispondessero.
Nel 3200 a.C. si sviluppano le prime forme di scrittura cuneiforme che perdurò fino al IV sec d.C.
Questa civiltá si è spenta quando, dopo la morte di Alessandro Magno, Babilonia venne affidata ad Attalo che l'abbandonò.
Senza manutenzione le case di argilla deperirono in breve tempo. Diventarono delle montagne informi e se ne perse la memoria se non fosse stato per gli scritti della Bibbia.
Di queste montagne informi ne parlano Erodoto e Diodoro Siculo.
I persiani arrivano verso il 550 a.C. e conquistarono Babilonia poi andarono alla volta della Grecia.
Sono distese abbastanza desolate.
Solo dopo il 1000 un rabbino si reca a Mossoul e dice di vedere dei vasi con degli strani decori. Nel 1612 Pietro della Valle dice di riconoscere in quei segni una scrittura. La cosa suscita interesse tra gli studiosi.
Nel 1700 inizia lo sviluppo dell' interesse per queste zone. Noebhur, un geografo tedesco, va a fare dei rilievi. Studia le iscrizioni e individua 42 caratteri.
C'è una corsa di nuovi occidentali alla ricerca di resti. Sulla tomba di Dario ci sono parecchie scritte.
Le scritture sono almeno di tre tipologie: una da 42 caratteri, una da 111 e una che varia dai 500 agli 800 caratteri.
Grotefend, insegnante di latino, non sa nulla di lingue orientali ma scommette con gli amici di riuscire a decifrare i testi. Dal greco sa che i re facevano i protocolli reali nei quali il re viene citato più volte. Lo studioso individua una scritta ed è convinto che sia un protocollo reale.
Ripercorre tutta la genealogia dei re Dario e Serse e cerca la r come lettera in comune.
Scopre che questa lingua si declina proprio come il latino.
Nessuno gli credette, perchè non conosceva le lingue orientali!!!
Altri in quel periodo avevano studiato e tradotto i libri di zoroastro una lingua detta zend. Zoroastro era iraniano. Questi libri in lingua zend corrisponderebbero alla lingua antica della lingua avesta. Vi sono solo consonanti e vi sono solo la i e la u e talvolta la a. Nulla di nuovo in quanto le lingue semitiche sono composte solo da consonanti.
Ci sono grandi affinità con l' avestico e H.C. Rawlinson incomincia a decifrare queste scritte che tuttavia erano incomplete e si arrampica in verticale per prendre altre iscrizioni sulla tomba di Dario.
Vengono mandati i disegnatori a ricalcare le iscrizioni. Si vedono bene le 3 colonne con le tre lingue.
Iniziano gli scavi con l'italiano Botta presso un tell. Da questi scavi emerge assai poco. Un operaio, riconoscendo la tipologia dei reperti, gli dice di andare nel sul villaggio a Salaminide dove le case erano state costruite attorno a delle teste alate!
Grazie a queste indicazioni, Botta ha trovato i leoni alati che adesso si trovano al Louvre.
L'inglese Nonis si mette a tradurre la seconda lingua che risulta composta da sillabe. Tale lingua aveva anche il determinativo. il nome di questa lingua è "Elamita".
L' attenzione poi si spostò sulla terza lingua.
Nella terza lingua vi sono determinativi ed ideogrammi. Si trovarono anche dei vocabolari con le pronunce.
Da un protocollo reale si capisce che questo è il linguaggio precedente all' ebraico e all' arabo. Quindi è una lingua semitica.
L'Istituzione competente in materia inviò l' iscrizione riportata sul cippo di fondazione ad alcuni studiosi che dopo tre mesi tradussero il testo alla stessa maniera! La lingua era stata tradotta!
Nel 1877 si comincia a scavare verso il golfo Persico e si trovano delle scritture ancora più arcaiche composte da pittogrammi che via via si sono schematizzati. Il popolo che inventò questo linguaggio non era nè semita nè indoeuropeo e ad oggi non si sa ancora la provenienza. Detti sumeri avevano delle caratteristiche decisamente diverse dalle popolazioni locali. Erano tarchiati con gli occhi a mandorla e il naso aquilino.
La loro lingua non era quella da cui ebbe origine il babilonese, ma era a sè stante.
Gli ziggurat erano i templi di adorazione delle divinità, infatti vi erano anche dei letti per le stesse. Ma questi monumenti non erano solo questo. Erano anche dei magazzini.
La moneta non era stata ancora inventata e vigeva il baratto. La popolazione lavorava al bene comune. A capo di ogni singola attività vi era un personaggio di rango che sovrintendeva la medesima.
Questi personaggi portavono dei sigilli al collo che si riferivano all' attività che sovrintendevano.
Il sovrintendente imprimeva un sigillo sui vasi che stoccava. Finita l'operazione, metteva da parte le cretule. Chiudeva anche la porta e ci metteva una corda con altri sigilli.
I sigilli erano dei cilindrini con dei cunei che venivano rotolati sull' argilla.
Nel 3500 a.C. vi erano delle bulle ovvero delle palle che suonavano e sulla superficie vi erano dei segni. All' inizio si pensava ad un giocattolo per bambini ed altri pensavano ad un oggetto rituale. Non si capiva a cosa servivano!
Viene trovata una che riportava un elenco di animali numerati. Contemporaneamente si trovarono altri oggetti: coni, palline, etc. Ci si chiede, allora, che cosa siano questi oggetti.
Durante degli scavi il direttore degli stessi chiede ad un beduino di prendere delle galline per la cena. Al ritorno dello stesso gli chiede quante ne ha prese, ma quest'ultimo non aveva ancora il concetto della numerazione ed estrae dalla tasca dei sassi dicendo che "le galline erano tante quante i sassi", l' archeologo capisce che questi oggettini avoneva un valore numerico.
Nella fattispecie poniamo che il padrone dava al pastore 152 pecore da portare al pascolo, ma non si fidava di quest'ultimo quindi il primo chiudeva nelle bulle questi oggettini con valore numerico nelle bulle sulle quali poi imprimeva il sigillo.
Successivamente, oltre al sigillo, venivano impresse in superficie anche le forme che aveva inserito nella bulla.   Le comunicazioni erano inserite in contenitori o su scaffali. Quando avvennero degli incendi le tavolette si son cotte e si sono conservate fino ai giorni nostri.

sabato 28 novembre 2009

Vivere a Gorizia (?)

Personalmente a Gorizia ormai ci dormo e lavoro solamente e per cercare un po' di divertimento e giovani devo trasferirmi altrove (quindi con costi di combustibile e di conseguenza di inquinamento che gravano su di me e su tutta la collettività). Inoltre la prospettiva anche solo di rimanere in città per una sola serata davvero mi deprime perchè so che, eccetto ad un gelato o ad un aperativo, ha ben poco da offrire e sinceramente ho l'impressione che negli ultimi anni la situazione sta progressivamente peggiorando con le varie ordinanze antischiamazzi. Vorrei ricordare che quello degli schiamazzi non è solamente un problema di Gorizia ma di tutte le città. Se c'è gente che disturba allora si agisce sui singoli e non su tutta la massa. Insomma mi sembra che si stia facendo di tutta l'erba un fascio e l'inevitabile conseguenza è la dipartita dei giovani verso altri luoghi di svago.
Secondo me il problema fondamentale è che si da troppo adito alla parte di cittadinanza adulta/anziana perchè ormai i giovani sono considerati tutti come degli sfaccendati che pensano solo ad ubriacarsi. Invece bisognerebbe ricordarsi che oltre a questi ci sono molti altri giovani meritevoli che la sera vorrebbero trovare svago nella propria città senza necessariamente "espatriare" verso altri luoghi anche perchè, diciamolo chiaramente, non tutti se lo possono permettere.
Vorrei infine ricordare che dall'a.a. 2009/2010 l'offerta formativa universitaria verrà ampliata con l'arrivo della facoltà di Architettura di Trieste e mi chiedo quali svaghi possa offrire la nostra città ai futuri studenti.
Ora vorrei sollevare un'ultima questione di cui ho parlato sul mio blog ma che riguarda, secondo me e secondo le persone con cui ho avuto modo di confrontarmi,la gestione della publicizzazione degli eventi nella nostra Regione. Pubblico il link per evitare di ripetermi:

http://urbanlandscapesandarchitectures.blogspot.com/2009/08/una-proposta-per-la-gestione.html

Spero vivamente che un giorno questa situazione possa subire un'inversione di tendenza altrimenti sempre più la nostra cara città, che storicamente era un fiore all'occhiello, andrà incontro ad un declino nemmeno troppo lento a quanto pare.

venerdì 6 novembre 2009

L'evoluzione umana tramite la storia dei numeri - dalla Preistoria alle civiltà Assiro Babilonesi

Giovedì 05.11.2009
1,2 molti. Sensazioni numeriche degli uomini del paleolitico - prof.ssa Diana Bitto
Società Friulana di Archeologia - sezione Isontina


Nel cervello dell'uomo non troviamo un'area anatomica dedicata alla matematica. Essa è una conoscenza acquisita nel corso dei millenni. Gli uomini d'oggi acquisiscono in 7-8 anni conoscenze che hanno voluto migliaia di anni di evoluzione per essere scoperte dai nostri antenati.
Non siamo ancora abilissimi nella matematica, si può però affermare che esiste una "sensazione matematica". Se presentiamo due figure una con 7 bottiglie e una con 7 bicchieri un bambino che non sa contare alla nostra domanda ci sono più bottiglie o più bicchieri risponderà certamente che ci sono più bottiglie poichè il primo gruppo è più voluminoso del secondo e il bambino associa al volume la maggiore alla quantità.
Dopo migliaia di anni dall'apprendimento del linguaggio, l'uomo sentì la necessità di contare. Sono state ritrovate delle ossa di animale che presentano sulla loro superficie delle tacche, l'uomo che le ha fatte non sta ancora contando ma sta annotando dei cicli (giorno/notte, stagioni, etc.).
Ad un certo punto l'uomo si evolve e comincia a distinguere l'uno, dal due ma al tre riscontra dei problemi: infatti gli ominidi indicavano il tre come "tanti". A pensarci bene anche l'uomo di oggi ha difficoltà a percepire a colpo d'occhio una quantità superiore al 4.
C'è un aneddoto secondo il quale in un'antica tribù un uomo propose di barattare 2 coltelli e per ognuno di essi avrebbe ricevuto 2 pecore. Fatto è che sis prese 4 pecore e se ne andò. Ma gli abitanti del villaggio lo richiamarono infuriati perchè credettero di essere stati truffati. L'uomo tornò, restituì due delle quattro pecore e le rimanenti le portò fuori, gli abitanti non vedendo più le altre pecore gli diedero le altre due che gli spettavano.

martedì 27 ottobre 2009

Ipod touch

Questo e' un post di provable dal mio ipod

- Posted using BlogPress from my iPhone

domenica 25 ottobre 2009

Dottore del buso del cul

Oggi signori è finita
dopo tanti sforzi la laurea è conferita!
Una laurea ad un'altra vicina
proprio quella della tua sorellina!!
Mille sventure han preceduto questo giorno
sventure al quale è meglio non far ritorno
Un po' cercate un po' per destino
per fortuna ormai superate e anche da tempo, perfino
Cara neolaureata, sei molto ambiziosa
non ti sei ritagliata una vita molto oziosa
anni fa eri ben diversa
ad altre priorità eri del tutto persa
puntavi più di ogni altra cosa
ad apparire a tutti i costi stilosa
avevi un limite in questo,neanche troppo raro
poichè eri spesso senza denaro
ma borchie cinture borse e scarpe volevi
spesso del personaggio che più in giro vedevi
non lo ammettevi,non lo ammetterai mai
ma eri vestita come voleva la moda,sai?
Cercando di distinguerti con particolari
Per non esser con altre alla pari
Le altre hai distaccato come un siluro
Quando hai cominciato a pensare al futuro
Finita la scuola,lasciati i compagni
Invece di andare al mare a divertirsi e far bagni
Subito ad altri corsi ti presentavi
E la tua cultura aumentavi
Inglese,autocad,seminari e discussioni
Per imparare tutti i corsi eran buoni
Il mondo hai girato senza confini
Di porta in porta consegnando volantini
Stanca poi del girovagare
Solo comune e provincia ti sei limitata a frequentare
Stavolta non piazze,vie e viali circostanti
Ma gli uffici dei palazzi essi rappresentanti
Ancora in uno studio adesso lavori
E tutti si stupiscono del tempo che trovi
Per studiare,laurearti,uscir con gli amici
Scavar morti e accudir sei mici
Se devi far festa sei attenta al mangiare
Perché alcuni prodotti ti fan proprio cagare
Niente pesce,pomodori,solo carne di pollo
Niente funghi,verdure e chissà l’ossocollo
Provi impressione per i cibi mollicci
E mai hai avuto pace per i tuoi capelli ricci
Ai ristoranti sei difficile da vedere
Molto più facile trovarti nei bar a bere
E di birazia e brulè l’organismo ti inquini
Tanto che a volte varchi i confini
quindi confondi il cibo col bere
E per sbaglio ti mangi il bicchiere
Normale quindi con quel che divori
Che le tue flautolenze abbiano certi odori
Fortuna che tal flautolenza semBRA SILenziosa
Tant’è che la chiami tutta orgogliosa
Avvisando della presenza estranea nell’aria
Con una correttezza davvero straordinaria
Inquietata da tutto di giorno e di notte
Le tue paure aumentavan a frotte
Dai viaggi col buio ai tizi con maglie rosa
A chi in politica cagate spara a iosa
Guai succedesse qualche novità
Poiché anche questa ti inquieterà
Tutto dev’essere immutabile,fermo,morto
Altrimenti hai il timore che qualcosa vada storto.
Però per non risultare seria come si pensi
Involontariamente comunica con i doppi sensi
Definendo cranioso una grande testa
Che all’interessato qualche perplessità desta
Ma molti più dubbi sorgono a noi poverelli
Quando ammetti che ti piacciono i piselli
Cosa mai vorrà dire lo scopriremo in futuro
Non ho niente da soffiare che è duro
L’episodio memorabile a dire il ver
È come ti sei presentata al piccolo pier
Quotidianamente qualche frase lasci fraintendere
Che a scriverle son dure da comprendere
Il parlare in doppi sensi in realtà tradiva
Una questione più che impulsiva
Di puntare con sguardo famelico
In ogni qual dove il Bastone Angelico
E per toglier ogni dubbio a tutta la tua banda
Sei anche la gran maestra dell’ordine della sacra mutanda
Che ti costringe ad essere superba fiera e desta
Davanti alla folla con degli slip in testa
Da poco poi raccolta la dignità
Ti sei interessata al mondo dell’antichità
Visitando musei, monumenti di ogni località italiana
Rivivendo le avventure del buon jones indiana
La chiesa più non frequenti
tant'è che per il prete una desaparecida diventi
d’altronde lo dice anche l’urbanista
la chiesa di sant’anna non ha senso che esista
e nel medioevo persa tra i suoi eventi
la tua testolina non si è adeguata coi tempi
e negli anni duemila tu vuoi andare avanti
trattando sempre la gente coi guanti
nelle questioni dove però ti blocchi
ricorda che tutti gli altri non sono schiocchi
in sto periodo si fan ricorso agli azzardi
in due parole bisogna fare i bastardi
o per lo meno non essere tanto agitata da saltar la cena
che il velox non ti prende se col ciao vai in piena
il tempo passa e tu perdi colpi
a furia di impegni il cervello ti spolpi
alla fine stai a vedere
che non ti ricordi neanche quanti anni puoi avere


[grazie a tutti i miei amici, è stato un giorno fantastico!]

domenica 6 settembre 2009

Scimmie in gabbia 2009

Mi chiedo il motivo per cui, quest'anno, una tappa di Scimmie in Gabbia si sia svolta proprio a Nova Gorica. Niente da dire ovviamente, anzi la location mi pareva piuttosto adeguata, ma non sarà mica un modo per evitare il problema "Ordinanze antischiamazzi" e similari di Gorizia? Perchè se fosse così, a questo punto, mi pare una buona soluzione...Inoltre devo ammettere che con la caduta dei confini personalmente la mia frequentazione slovena sta diventando via, via più assidua. Penso quindi che piano, piano stia avvenendo quello che da tempo si auspica: una seppur lenta "fusione" delle due città...speriamo bene ;)

venerdì 4 settembre 2009

LIMES: STORIE AL CONFINE TRA ARCHE' E TECHNE' un ciclo di conferenze organizzate del ga goriziano

Come ormai da qualche tempo, anche quest'anno si è rinnovato il consueto appuntamento con il ciclo di conferenze primaverili organizzate dal Gruppo Archeologico Goriziano.

Negli anni passati gli incontri, articolati in tre appuntamenti, hanno riguardato le origini e la vita delle popolazioni dell'Italia antica, quest'anno invece, con la promessa di ricominciare da laddove è avvenuta l'interruzione, il Gruppo Archeologico Goriziano ha deciso di affrontare un ciclo di interventi dal titolo: “Limes: storie al confine tra archè e technè”.

L'irruenza della tecnologia nelle nostre vite ha contribuito senza alcun dubbio all'introduzione di nuove metodologie a supporto dell'indagine archeologica, contribuendo a facilitare l'individuazione delle evidenze archeologiche in ambiente marino e in quello terrestre. Da qui nasce l'esigenza di voler divulgare e far conoscere questi nuovi strumenti ad appassionati o a semplici curiosi.

Come di consueto, pertanto, il ciclo di conferenze si è articolato in tre interventi successivi:

  • I INTERVENTO: “Archeologia e geomorfologia subacquea dal golfo di Trieste al Montenegro” - intervento del dott. Stefano FURLANI (Università degli Studi di Trieste) presso la Sala Consigliare della Provincia di Gorizia (10 aprile 2009);

  • II INTERVENTO: “Fotografia aerea e geoarcheologia lungo la via Annia” - intervento del prof. Alessandro FONTANA (Università degli Studi di Padova – Dipartimento di geografia) presso la Sala Consigliare della Provincia di Gorizia (17 aprile 2009);

  • III INTERVENTO: “Tra Aquileia e Lacus Timavi, il contesto del “ponte” romano di Ronchi dei Legionari” - intervento della dott.ssa dott.ssa Katharina ZANIER (Institute for Mediterranean Heritage – Università del Litorale - Koper) presso la Sala Consigliare della Provincia di Gorizia (24 aprile 2009);

Si riportano di seguito gli atti del convegno.

Archeologia e geomorfologia subacquea dal golfo di Trieste al Montenegro

dott. Stefano FURLANI (Università degli Studi di Trieste)

Le morfologie del suolo non sono solamente dipendenti dai movimenti dei ghiacciai ma anche dai movimenti della terra stessa che, pertanto, comportano un abbassamento o un innalzamento del fondale marino.

In questo contesto un connubio interdisciplinare appare vincente: l'integrazione dell'archeologia e della geomorfologia. Infatti l'evoluzione del territorio non incide solamente sull'ambiente naturale ma anche su quello antropico.

Svariati sono gli indicatori, sia naturali che non, che vengono utilizzati ai fini dello studio di strutture in ambienti marini:

  • indicatori geomorfologici:

  • notch (solchi marini);

  • marine terraces (terrazzamenti marini);

  • speleotemi;

  • grotte marine;

  • fori scavati da organismi.

  • indicatori archeologici:

  • moli;

  • piscinae (peschiere);

  • indicatori biologici:

  • fossili.

Dall'indagini effettuate risulta che le coste dell'Adriatico sono in abbassamento. Le ricerche, volte in tal senso, sono in grado di definire l'altezza del livello del mare in una determinata epoca laddove gli indicatori siano sufficienti a determinare tale datazione.

Il rilievo subacqueo, naturalmente, presenta maggiori difficoltà rispetto a quello terrestre. Basta pensare che nell' Adriatico il livello del mare subisce una variazione legata alle maree di 1,50 m. Tale variazione un tempo non veniva tenuta in considerazione nelle rilevazioni mentre oggi ne diviene una correzione fondamentale.

Le ricerche, susseguitesi nel tempo, hanno evidenziato la presenza di porti romani sommersi lungo le coste adriatiche in particolare in prossimità dell'area di Pago e Cherso (Pirazzoli '80). Altri studiosi come Fouache (2000), Antonioli (2004 – 2007) e Benac (2007) si sono interessati, negli anni successivi, allo studio delle coste dell'Adriatico orientale.

Nel Golfo di Trieste, ed in particolare nell'area che va da Duino a Sistiana, i ricercatori hanno evidenziato l'assenza del solco marino attuale e la presenza di uno più antico sommerso a circa 1,50 - 2,00 m di profondità.

A Punta Sottile è stata rilevata una piattaforma sommersa. Taluni hanno ipotizzato che potesse trattarsi di un lastricato romano in quanto i blocchi di cui è composta risultano estremamente regolari ma pare che questa ipotesi sia improbabile e che si tratti di terrazzamenti marini.

Nella stessa zona sono stati individuati dei moli romani ad una profondità di 1,40 m sotto il livello del mare. Dalle indagini si è potuto desumere che rispetto a detta struttura, originariamente, il livello del mare si trovava 0,60 m più in basso.

A Punta Grossa, invece, gli studiosi hanno individuato i resti di una peschiera romana.

Ad Isola (Izola) è stata individuata la presenza di un molo romano sopra il quale è stato costruito il molo attuale.

In località Canale di Leme (Limski Kanal), il notch si trova ad una profondità di circa 0,70 m e la sua datazione risulta impossibile. Alcuni indizi, però, hanno aiutato i ricercatori. Infatti a circa 4,00 m di profondità sono stati trovati organismi la cui datazione è di 4000 anni fa mentre a 0,50 m vi è la presenza di organismi di 500 anni fa. Il solco, trovandosi al di sotto di tale limite sta ad indicare che la sua datazione è molto recente.

A Brioni (Pola) sono state individuate delle strutture che si credeva fossero delle peschiere. Studi approfonditi hanno accertato, invece, che tali resti sono certamente delle mura portanti a cassa vuota di un edificio di epoca romana. Nelle zone adiacenti si segnala la presenza di moli romani

Cissa, la cui scomparsa riecheggia nelle nostre menti il mito atlantideo, si dice sia scomparsa interamente in seguito ad un terremoto avvenuto intorno al 250 d.C. Sulla costa sono visibili delle strutture di origine antropica tra cui edifici e il punto di arrivo di una cloaca.

In linea di massima da Trieste al Montenegro il solco marino risulta continuo ad eccezione di alcune isole presso le quali non esiste alcun solco.

A Pakostane sono stati individuati degli enormi massi che tecnicamente vengono indicati con il nome di beachrocks la cui formazione avviene per processi chimici e la loro struttura è molto regolare. Nelle zone limitrofe a questo sito sono stati individuati i residui di antiche saline romane nonché un relitto romano spiaggiato.

Le cause di abbassamento del fondale dell'Adriatico orientale non sono ancora del tutto chiare. Alcuni sostengono che il terremoto di Cissa abbia contribuito a questo fenomeno altri invece propendono per l'ipotesi che siano avvenuti una serie di terremoti locali. Entrambe le ipotesi appaiono agli studiosi azzardate.

Fotografia aerea e geoarcheologia lungo la via Annia

prof. Alessandro FONTANA (Università degli Studi di Padova – Dipartimento di geografia)

Il Dipartimento di geografia dell' Università degli Studi di Padova ha intrapreso da qualche anno un progetto di ricognizione ed individuazione del tracciato della via Annia, importante ed antica via di comunicazione che si staglia per circa 200km dal Veneto fino al Friuli Venezia Giulia dove trova la sua conclusione in prossimità di Aquileia.

Il progetto deve la sua realizzazione ai finanziamenti giunti da ARCUS s.p.a., Regione Veneto e Comune di Padova.

Questa ricerca di tipo geoarcheologico si avvale dei seguenti strumenti:

  1. fotointerpretazione di immagini satellitari, aerofotogrammetriche e foto aeree oblique;

  2. confronto di cartografia storica con cartografia più moderna;

  3. rilevamento terrestre di tipo geologico ed archeologico;

  4. datazioni (radiocarbonio, polliniche, etc.);

  5. confronto con dati archeologici.

Per quanto riguarda il rilevamento geoarcheologico, l'equipe di ricerca si è avvalsa fondamentalmente di sondaggi manuali (fino ad una profondità di 9 m), sondaggi meccanici (fino ad una profondità di 20 m), datazione di organismi, telerilevamento e fotografia obliqua.

Le foto oblique si differenziano da quelle satellitari in quanto sono riprese da posizioni non zenitali ma prospettiche. Questo ha, da una parte dei vantaggi, e dall'altra degli svantaggi. Un vantaggio è il fatto che le foto oblique, a differenza di quelle zenitali che vengono solitamente riprese durante la stagione invernale, sono di facile produzione in qualsiasi periodo dell'anno, questo fa sì che nei vari momenti sono percepibili diversi dettagli che magari poco dopo non sono più visibili infatti è opportuno ricordare che possono verificarsi differenze sostanziali anche a distanza di breve periodo.

Naturalmente la produzione di immagini oblique ha un costo inferiore rispetto a quelle zenitali.

Se le foto oblique sono in grado di darci un numero maggiore di dettagli relativi al territorio di studio, dall'altra parte sono ricche di deformazioni geometriche determinate dalla prospettiva. Affinchè queste immagini possano essere fotointerpretate, hanno bisogno di subire un procedimento detto di “raddrizzamento fotogrammetrico”. Nello specifico l'equipe di ricerca si avvale di un software opensource chiamato Airphoto.

La ripresa delle immagini oblique è avvenuta per mezzo di una fotocamera digitale con risoluzione di 13Mpixels.

Molto interessante è l'uso che viene fatto di queste immagini. In particolare vi è un'integrazione fra immagini zenitali ed oblique le quali vengono ricomposte, dopo il raddrizzamento, in un unico mosaico che raccoglie le foto più salienti a definire il tracciato della via Annia.

Fino al 2000 non era possibile fare foto oblique in quanto i manufatti militari presenti sul territorio erano segretati. In quell'anno c'è stata la liberalizzazione di tale contenuto geografico ed è quindi possibile eseguire delle immagini senza richiedere alcuna autorizzazione al Demanio militare. Ciò è evidentemente un evento che facilita l'indagine geoarcheologica in tal senso.

E' necessario ricordare l'importante collaborazione fornita dall'Aeroclub di Padova che ha messo a disposizione i propri velivoli per effettuare tutte le rilevazioni aeree.

Fino ad oggi l'indagine ha prodotto 15.000 immagini oblique ed altrettante ci si aspetta negli anni futuri. Questa evidente mole, però, dev'essere opportunamente archiviata in un SIT (sistema informativo territoriale).

Passiamo ora in rassegna i softwares utilizzati ai fini della presente indagine archeologica:

  • Airphoto: software per il raddrizzamento fotogrammetrico;

  • ArcGIS: software commerciale SIT per l'archiviazione e l'analisi dei dati territoriali;

  • GPS photo link: software che collega le foto digitali ad un sistema di coordinate GPS relativo alla posizione in cui sono state scattate (geoTagging).

Il dott. Fontana, durante l'intervento, ha passato in rassegna una serie interessantissima di immagini sia zenitali che oblique mettendo in evidenza la presenza di crop marks, soil marks e tracce di rotte fluviali (particolarmente evidenti nei campi di granturco che generalemte sono un buon indicatore al contrario del suolo nudo).

Di tutti i dati raccolti è stato creato un database che collegato a Google Earth individua il tracciato della via Annia e le immagini puntuali riprese lungo il percorso.

L'indagine geoarcheologica parte da Adria punto di inizio della via Annia. A detta del relatore, Adria è fino ad ora la città che ha dato i risultati migliori. Infatti sono state riscontrate molte evidenze archeologiche come ad esempio la centurazione romana.

Al contrario Aquileia, della quale ci si aspettava risultati più sorprendenti, ha deluso un po' le aspettative dei ricercatori in quanto non sono emerse evidenze archeologiche di un certo rilievo.

Proprio ad Adria, in periodo medievale, il tracciato dell'arteria di comunicazione è stato cancellato dalla formazione di un dosso fluviale (tale morfologia si forma quando un fiume comincia a produrre abbondanti sedimentazioni tali da innalzare il livello del suolo e rendere il corso d'acqua stesso pensile, questo è ad esempio il caso del Tagliamento in prossimità di Latisana).

L'indagine si è poi spostata a Mestre, Altino, Ca'Tron e San Donà di Piave.

Seguendo il tracciato della via Annia spesso ci si batte in manufatti dalle forme particolari. E' il caso di una struttura interrata dalla forma poligonale la cui funzione non è ancora ben nota anche se si crede potesse essere un accampamento temporaneo di epoca rinascimentale. Altre volte ci si imbatte in strutture che apparentemente potrebbero essere dei tracciati secondari e intersecantesi con la via Annia salvo poi l'amara delusione nello scoprire che, per esempio, si tratti di linee di elettrodotti.

Fino alla fine dell'800 l'arteria era ancora ben conservata. La rivoluzione urbana successiva ha contribuito alla cancellazione della sua evidenza.

Anche ad Altino i risultati della fotointerpretazione sono stati eccellenti. Dall'alto possiamo intravedere non solo l'oggetto d'indagine ma anche il foro con i suoi negozi, l'anfiteatro e l'odeon. Nell'area di Ca'Tron, già in epoca antica, la laguna ha sommerso parte del tracciato della via, pertanto è stata realizzata una variante al percorso stesso individuabile proprio dalla immagini dall'alto. Sempre nella medesima zona, sono stati trovati anche i resti di un ponte di legno.

Pare che la via abbia almeno 3000 anni!

Le immagini aeree hanno individuato una parcellizzazione dei campi a Cittanova.

Nel tratto Cittanova – S. Stino è stata individuata la presenza di due ponti: uno sul Canalat e l'altro sul Livenza. La strada era qui costruita su un terrapieno di 1,00-1,50 m rispetto al piano di campagna.

Nel tratto compreso tra S. Stino e Concordia la strada non ha un andamento rettilineo in quanto doveva superare una zona paludosa.

Per un certo tratto la strada è ubicata al di sotto del tracciato dell'attuale SS 14 Triestina che ricalca esattamente il suo percorso. In uno scavo adiacente alla SS sono stati individuati dei sedimenti torbosi e delle tegole di epoca romana.

A Concordia, in prossimità dell'attuale basilica, che sorge al di sopra di quella antica, sono visibili i resti del basolato della via Annia che si trovano ad un'altezza di 4,00 m al di sotto del piano di campagna.

In epoca romana Concordia era una sorta di isola circondata da paludi. Era pertanto isolata dalla pianura circostante e si trovava, di conseguenza, in un'ottima posizione difensiva. La Annia, quindi, doveva scendere nei terreni paludosi della bassura e risalire per giungere a Concordia.

Ad un certo punto, però, vi è una sedimentazione che ricopre l'Annia e riempe la bassura nella zona paludosa per una profondità di strato di circa 20 m andando a formare dei piccoli dossi. E' evidente, pertanto, che senza un sondaggio meccanico non si sarebbe potuta accertare la sua presenza. Le sabbie fluviali, inoltre, hanno ricoperto la strada che si trova vicino alla basilica, e che oggi risulta visibile, per uno spessore di 4 m.

In prossimità di Latisana il Tagliamento crea un dosso fluviale che cancella le tracce della strada romana.

Lo studio del tracciato ha messo in evidenza il fatto che la via Annia è stata progettata con un andamento rettilineo laddove questo era possibile mentre cambia il suo percorso in caso di morfologie particolarmente difficili da aggirare. Essa, inoltre, passa per insediamenti protostorici il che fa supporre alla sua presenza anche in epoca più antica.

A Muzzana la via Annia si trova esattamente al di sotto dell'attuale arteria di traffico mentre a Chiansacco dopo un tratto di coincidenza, essa vira verso Aquileia.

Le immagini aeree possono dare buoni risultati anche in campo marino. Durante le indagini per lo studio della via Annia i ricercatori hanno scattato una bellissima foto sulla laguna di Grado dove appare evidente la presenza della Villa della Palude della Carogna.

Tra Aquileia e Lacus Timavi, il contesto del “ponte” romano di Ronchi dei Legionari

dott.ssa Katharina Zanier (Institute for Mediterranean Heritage – Università del Litorale - Koper)

Il “ponte” romano di Ronchi dei Legionari, che sorgeva tra l'area di San Lorenzo e il monte Zochet. rappresenta, per gli archeologi, un caso particolare in quanto nei suoi pressi non si trova oggi alcun corso d'acqua.

A questo proposito sono state avanzate quattro ipotesi:

  • il corso principale dell'Isonzo aveva un andamento piedecarsico tale da rendere necessario l'attraversamento in questo sito con un'infrastruttura (Gregorutti);

  • il ponte sormontava un ramo secondario dell'Isonzo (del Ben);

  • in questa zona vi scorreva un emissario dei laghi carsici che veniva superato per mezzo di questo manufatto;

  • Nell'ipotesi della Bertacchi il ponte in realtà sarebbe l'acquedotto secondario di Aquileia pertanto non ci sarebbe stato alcun corso d'acqua da sormontare. Questa ipotesi sembra improbabile in quanto pare vi sarebbe stato un manufatto di quest'ultimo tipo proveniente da Scodovacca. Inoltre le indagini geomorfologiche hanno messo in evidenza la presenza di un paleoalveo proprio in questa zona. Del resto i toponimi attuali di via Raparoni e via Le Rive si rifanno sicuramente alla presenza di un corso d'acqua.

Un'ulteriore conferma del fatto che la funzione di questa infrastruttura fosse quella di consentire il passaggio è attestata dalla presenza di residui di alcune strade.

Il “ponte” era sicuramente collegato con la via del Carso e con la via Postumia e si trovava, inoltre, sul tracciato della via che conduceva a Tergeste.

Qualcuno, inoltre, ha avanzato l'ipotesi che il “ponte” fosse in realtà un viadotto. Ma le altimetrie della zona, che risulta qui pressoché pianeggiante, ne hanno dato la smentita.

Parte dei blocchi di cui era costituito sono stati reimpiegati in altri manufatti nelle epoche successive (ad esempio nella Chiesa di San Lorenzo a Ronchi possiamo individuare un blocco appartenente al “ponte” stesso).

Già nel 1880 rimanevano ancora pochi resti del ponte. Oggi non è più visibile a causa, principalmente, di tre motivi che hanno portato alla sua distruzione:

  • spogliazione avvenuta nelle epoche successive per il riuso del materiale in altri manufatti;

  • creazione del tracciato ferroviario (1860);

  • creazione del canale dei dottori.

La sua presenza, ad ogni modo, è attestata dalle fonti. Secondo lo studioso Brumati (1829), infatti, il manufatto sarebbe stato citato da Erodiano.

Da indagini sul sito sono state trovate delle lapidi funerarie che furono riutilizzate come materiale di recupero nella costruzione del ponte. Tra questi materiali è stato ritrovato un blocco raffigurante Priapo. Dopo lo smantellamento del ponte, tali materiali, sono stati reimpiegati nuovamente in altri manufatti tra cui uno della parrocchia di San Lorenzo. Queste lapidi sono databili alle metà del I? sec. d.C.

Probabilemte questi materiali lapidei erano stati prelevati proprio a Ronchi dei Legionari poiché qui i terreni da adibire a cimitero costavano certamente meno rispetto, ad esempio, ad Aquileia.

Un altro reinvenimento importante è stato il fregio che decorava il basamento di un probabile mausoleo sulla testa del ponte. Se la sua ricostruzione fosse fedele, esso rappresenterebbe da una parte degli oggetti sacrificali e dall'altra dei mostri marini musicanti in forma di tritone. Non si può escludere l'intento propagandistico di Ottaviano Augusto che forse voleva mettere in risalto le sue vittoriose battaglie marine.

La ricerca su questo manufatto non si arresta ed anzi l'auspicio è quello che le tecnologie utilizzate oggi a supporto dell'archeologia siano in grado di mettere in risalto sempre maggiori particolari di modo, un giorno, da poter regalare ai nostri occhi un altro pezzetto del passato del territorio in cui viviamo.

lunedì 31 agosto 2009

ABITI TRADIZIONALI SCOZZESI

IL TARTAN
Il termine “tartan” probabilmente deriva dalla parola francese “tiretaiine” (il termine gaelico usato per identificare il tartan è “breacan”) e fu introdotto nel XVI sec quando la Scozia  era dinasticamente connessa con la Francia.
Il tartan erroneamente è chiamato “plaid”. Il termine gaelico “Plaide” significa “coperta” ed indica un vestito delle Highland composto da un largo tessuto.
In origine il kilt era conosciuto come “belted plaid” (“coperta arrotolata”) ed era composto da una larga coperta che era fissata con una cintura alla vita.
I plaid erano per lo più composti da una trama a tartan così la confusione tra “plaid” e “kilt” è giustificabile.
Il tartan è un pattern composto da linee che si intrecciano orizzontalmente e verticalmente a formare una trama che può essere intessuta o semplicemente dipinta o stampata.
Oggi si crede che le varie trame che assumono i tartan si riferiscano ai clan di appartenenza. Ma non è stato sempre così.
Il tartan ha una lunga storia. La prima forma conosciuta di tartan in Scozia è databile al III – IV sec d.C.
Nel resto del mondo abbiamo trame intrecciate già a partire dal 3000 a.C., ma solo in Scozia hanno assunto un significato sociale.
Originariamente il tartan non aveva né nome né significato specifico e le trame e i colori si differenziavano per area geografica. Non esisteva ancora una suddivisione della trama per clan.
Il tartan divenne estremamente popolare nelle cultura delle Highland scozzesi tanto che nel XVII e nel XVIII sec ne divenne l'abito caratteristico.
Dopo la battaglia di Culloden nel 1746, il governo inglese proibì di indossare il tartan nelle Highlands nel tentativo di sopprimere la ribellione della cultura scozzese.
Alla fine del VIII sec vi fu una ripresa della produzione del tartan ad opera per lo più di  William Wilson & Sons of Bannockburn (1765). Ben presto la firma divenne l'unica fornitrice di tartan per il Regimento delle Highlands. Vista la vasta produzione, ben presto produssero colori e trame standard.
Inizialmente le trame vennero identificate con dei numeri ma sucessivamente furono loro assegnati dei nomi. Tali nomi non solo si riferiscono a quelli dei clan delle Highlands, ma anche toponimi e alcuni nomi di fantasia. I nomi non erano rappresentativi ma erano volti a differenziare una trama dall'altra.
Nel libro di Wilson “Key Pattern Book” del 1819 vennero raccolte le rappresentazioni di alcune trame di tartan.
Agli inizi dell'800 nacque l'idea di assegnare alle varie trame di tartan, il nome dei caln.
Gli scozzesi espatriati e cresciuti all'estero cominciarono ad interessarsi alla conservazione della cultura delle Highlands.
Inizialmente nessuno aveva idea di quale fosse la trama del tartan del clan di loro appartenza, così ci si affidò alla memoria storica dei più anziani.
Nel 1822 venne fatta una festa in onore del re George IV che visitò Edinburgo e i partecipanti dovevano indossare il tartan del clan di loro appartenenza. Ma non tutti avevano un tartan che si riferisse al clan e così vennero creati ex novo per l'occasione.
La storia dello sviluppo del tartan continuò anche successivamente, ma ciò che preme rammentare e che il tartan per assumere un nome e divenire ufficiale dev'essere accettato dalle istituzioni governative e non deve essere necessariamente antico: può avere due o duecento anni!
Non è necessario che gli antenati abbiano indossato un determinato tartan affinchè questo venga accettato ufficialmente. Persino oggi si è liberi di sceglierne uno!
Oggi il tartan ha un preciso significato di appartenenza.
La sostanziale differenza tra il tartan scozzese e quello irlandese sta nel fatto che il primo si articola in intrecci verticali e orizzontali, mentre il secondo in intrecci diagonali.
I fornitori commerciali, oggi, producono intorno alle 500 – 700 trame, una quantità sufficiente da soddisfare la domanda di tartan. Ad ogni modo sono stati identificati circa 7000 tipi di tartan diversi.


IL KILT
Il kilt era un indumento nobile proveniente dall'area di Caledonia.
Se chiediamo ad un uomo irlandese quali sono le origini del kilt, ci risponderà che era un antico indumento irlandese e solo successivamente, con la migrazione dei celti, venne introdotto in Scozia e soprattuto gli irlandesi inventarono anche le cornamuse (“bagpipes”) e il whisky.
Un uomo inglese, invece, ci dirà che Thomas Rawlinson, un nativo inglese, inventò il kilt nel XVIII sec.
Molte delle nostre idee, infatti, sono basate su miti, leggende e credenze popolari e persino  su film di Hollywood. Il film hollywoodiano “Braveheart” fa raggelare il sangue dal punto di vista della filologicità dei costumi tradizionali ma ad ogni modo ci fornisce un'idea, sbagliata, ma romantica.
Molte informazioni sono raccolte nel libro “Old Irish and Highland Dress” di H.F. McClintock che contiene una documentazione sugli abiti galiziani.
Come detto precedentemente, pare che l'uso del kilt si sia diffuso prima in Irlanda e poi in Scozia anche se non vi sono evidenze storiche a sostegno.
Nel libro di McClintock  non c'è nulla che possa essere assimilato ad un kilt.
Sulle sculture irlandesi precedenti al 1100 nessuna figura indossa un kilt ma piuttosto una “tunica” chiamata “leine” lunga, solitamente,fino alle ginocchia (il kilt, invece si compone di due pezzi separati) sopra la quale veniva messo un mantello (“brat”). Possiamo avere un esempio guardando alcune sculture o le illustrazioni che ritroviamo nel libro di Kells. L'uso di questo indumento si protrasse anche durante il XVI sec.
Non si può minimamente pensare che questo indumento sia una prima versione di kilt.
Un'altra fonte di confusione deriva dal fatto che molte figure di soldati e cavalieri indossano armature “trapuntate” chiamate “acton”. Queste sono tuniche lunghe trappuntate ed imbottite e servivano come una sorta di leggera armatura. Spesso nelle sculture sono rappresentate con linee verticali che scendono lungo la leine.
Spostandoci nel '500, possiamo apprendere dal libro di Derricke “Image of Ireland” (1581) che gli uomini avevano indumenti composti da gonnelle con piegoline che sembrano dei kilt moderni che in realtà, invece, sono dei “leinte” composti da larghe maniche.
E' sbagliato pensare che il kilt in Scozia abbia origini medievali. Un'ulteriore confusione è creata dal film “Braveheart” nel quale vediamo un povera imitazione dei kilt del XVII sec e l'uso di dipingersi la faccia di blu in voga nel II sec d.C.!
McClintock cita un documento chiamato “Magnus Berfaet saga” che cita il re Magno che andò nelle isole occidentali della Scozia e adottò il vestiario tipico del luogo.
Gli uomini avevano corte tuniche con indumenti che coprivano la parte superiore del corpo. Questa è la prima citazione dell'esistenza del kilt anche se non sotto questo nome. Questo indumento corrisponde, invece, all'abito irlandese del tempo, il “leine” e il “brat” (“mantello irlandese”). L'uso del kilt non è attestabile prima del XVI sec.. Prima, ciò che la gente considera erroneamente un kilt, era un “leine” o un “acton”.
Il kilt del XVI sec. È chiamato in gaelico “feilidh-mhor” (“grande scialle”),  breacan-feile (“scialle di tartan”) o semplicemente “belted plaid” (“coperta arrotolata”). Tutti i termini si riferiscono allo stesso indumento che oggi è più conosciuto con il nome di "Great Kilt".
Il Plaid veniva usato come un mantello. Tale indumento non era usato nel XIII - XIV sec.
Tali indumenti venivano usati per la guerra e non per ornamento (letter to Rome by Bishop Lesley, 1578).
Il “belted plaid” è considerato la prima forma di kilt ed è attestato per la prima volta in un documento chiamato “Life of Red Hugh O’Donnell” di Lughaidh O’Clery che parla di un gruppo di mercenari dalle Hebrides scozzesi dal quale apprendiamo che questo era un modo di vestire tipicamente scozzese.
L'uso di questi abiti era diffuso tra gli Highlander.
In realtà non abbiamo assolutamente idea di come la gente indossasse il “belted plaid”.
Non c'era una lunghezza standard nel taglio dei kilt dei soldati scozzesi come sembra dimostrare un'immagine del 1641.
Allacciatevi una cintura di pelle attorno alla vita. Aggiungetevi un “dirk” (coltello) e uno “sporran” (borsello). Noterete un grosso quantitativo di materiale che scenderà lungo le vostre gambe e sulla cintura. Può essere disposto in molte maniere come illustrato nella figura del 1641.
Nel tempo il “belted plaid” divenne il kilt che oggi noi conosciamo grazie a Thomas Rawlinson nel 1730, quando nella sua fornace, i lavoratori, tutti vestiti con questo indumento avevano caldo e trovavano lo stesso scomodo. Così Rawlinson lo tagliò alla metà della sua lunghezza originale lasciandone praticamente solo il gonnellino. Così, il kilt, potè essere indossato separatamente dalla parte alta e prese il nome di “feilidh-beag” (“little wrap”) pronunciato “phillabeg” o "piccolo kilt" che si diffuse tra il XVII e il XVIII sec ed è considerato l'evoluzione naturale del “belted plaid” che Rawlinson fece indossare ai suoi lavoratori.
Il kilt oggi viene confezionato come una gonna a portafoglio, con una parte tesa davanti, dove avviene la sovrapposizione e una parte con pieghe. Viene tenuto chiuso da lacci di pelle con fibbia in alto e da una grossa spilla di sicurezza sul lembo sovrapposto.
L'Earasaid (Arisadh) era, invece, tradizionalmente un indumento usato dalle donne scozzesi prima del XIX sec molto simile al Great Kilt indossato dagli uomini.
[fonti]
http://www.scottishtartans.org/tartan.html
http://albanach.org/kilt.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Kilt
http://www.kilts-n-stuff.com/braveheart_stuff.html 

sabato 29 agosto 2009

I VANGELI APOCRIFI

conferenza tenuta da Don Mauro - Parroco della Chiesa dei Martiri Canziani (San Canzian d'Isonzo) per la Società Friulana di Archeologia - Sezione Isontina

Ci sono alcune domande a cui notoriamente i vangeli canonici non riescono a dar risposta e che trovano accoglimento soltanto attraverso la lettura del cd. “vangeli apocrifi”.
Il termine greco “apocrifos” si riferiva inizialmente a quelle religioni misteriche pagane i cui segreti potevano essere trasmessi solamente agli iniziati al culto, contrariamente, il termine “canon”, da cui deriva “canonico”, si riferisce alla forma perfetta (non di rado si sente parlare di canone estetico) e di conseguenza i testi canonici sono perfetti in quanto depositari della verità.
Già nel II sec. d.C. ci sono i primi testi canonici che nella religione ebraica, invece, non vennero subito accolti (libro di Giuditta, libro di Tobia, il Cantico dei Cantici, etc). Questi manoscritti vengono tradotti dal greco nel vulgata da S. Girolamo.
Uno dei motivi per cui il Cantico dei Cantici fece fatica ad esser accettato come testo canonico nella fede ebraica fu perchè non da subito la sua trama venne messa in stretta relazione con Dio.
Il testo parla di una coppia di sposini che si cercano. La lettura cristiana del testo assume la figura dello sposo come analogia a Dio e quella della sposa come analogia dell'umanità. Da qui il significato intrinseco che Dio e l'umanità si ricercano a vicenda.
Con il tempo il termine “apocrifos” comincia ad assumere una connotazione negativa in quanto ogni testo così identificato era di ignote origini e quindi da considerarsi eretico.
Già S. Girolamo e S. Agostino mettevano in guardia tutti dalla lettura degli apocrifi.
Anche nell' Acta Canti Cantiani e Cantianilli (V – VI sec.) viene sottolineato il fatto che i tre fratelli furono martiri per fede nei testi canonici (negando per tanto il credo in testi apocrifi).
La Chiesa non responge tutti i testi apocrifi ma solamente quelli scritti dopo la morte di Giovanni in quanto ultimo testimone attendibile dei fatti, da qui è facile desumere che non tutti i testi del genere sono eretici ed anzi talvolta si sono integrati perfettamente nella conoscenza dei fatti religiosi comune a tutti i fedeli.
Ci sono davvero una miriade di testi apocrifi, citiamone solamente alcuni:
Infanzia del Cristo: protovangelo di Giacomo, protovangelo di pseudo Tommaso, protovangelo di pseudo Matteo, Giuseppe il falegname, vangelo armeno dell'infanzia, etc.
Passione del Cristo: vangelo degli ebrei, vangelo di Pietro, vangelo di Nicodemo, la vendetta del Salvatore, transito della Maria Vergine:
Vangeli Gnostici: vangelo di Tommaso, vangelo di Filippo, vangelo della Maria Maddalena, Vangelo di Giuda.
Lo gnosticismo (da ghnósis, “conoscenza) è una corrente religiosa nella quale la salvezza dell'anima può derivare solamente per mezzo della conoscenza intuitiva dei misteri dell' Universo. L'uomo è sostanzialmente l'ultimo anello della “catena Universo”, la divinità rivela talvolta all'uomo alcuni nomi e alcuni misteri tanto che il fedele, dalla sua situazione primigenia e lontana dalla divinità, possa lentamente risalire la “catena” fino a raggiungere Dio e la salvezza dell'anima.
Il vangelo gnostico di Maria Magdala è un codice copto conservato a Berlino e scritto in lingua greca di cui le pagine iniziali, purtoppo, sono andate perdute.
Proprio Maria Maddalena è la protagonista di questo testo nel quale racconta agli altri discepoli, increduli, che Cristo è risorto e si è presentato per primo a lei. Alcuni dei suoi interlocutori si chiedono come mai lui sia apparso proprio ad una donna e non a loro, forse lui li ama di meno? Matteo prende una posizione difensiva nei confronti della donna dicendo che evidentemente lei ne era più meritevole.
Maria confida agli apostoli che Gesù a rivelato a lei alcuni nomi. I discepoli sono rinfrancati perchè possono percorrere il cammino della salvezza dell'anima.
Il vangelo di Filippo ci raccontanta di come Gesù amava più di tutti la Maddalena e di come spesso la baciava sulla bocca.
La Chiesa interpreta il bacio sulla bocca come la trasmissione della conoscenza (in perfetta filosofia gnostica) dal Cristo alla Maria Maddalena.
Una caratteristica comune ai testi gnostici è la presa di posizione critica nei confronti dei discepoli.
Il vangelo gnostico di Giuda si inserisce nel genere dei testi prodotti dalla setta dei cainoliti il cui scopo era di rendere positivo ciò che in realtà era negativo.
Il codice copto, scritto in greco, è databile al VI sec. E' stato rinvenuto negli anni '70 presumibilmente nel Medio Egitto e negli anni '80 approdò negli Sati Uniti. Nel 2006 c'è stato il restauro con la volontà di restituire al legittimo proprietario il testo (cosa ancora non avvenuta). Proprio a causa di questo i contenuti non sono ancora stati divulgati se non agli studiosi e ai ricercatori.
Il vangelo di Giuda riguarderebbe il resoconto di un segreto che Gesù avrebbe raccontato a Giuda prima della Pasqua.
Nell'ottica cainolita, il vangelo assume una connotazione positiva in quanto il tradimento di Giuda non è considerato tale, piuttosto assume un significato di liberazione dal proprio corpo della divinità insita in Gesù Cristo.
Le immagini sacre hanno tratto molta della loro iconografia dalla lettura dei testi apocrifi.
I vangeli canonici fanno un resoconto molto sbrigativo sulla vita di Maria Vergine ed è per questo che ci rivolgiamo ai testi apocrifi dai quali apprendiamo dell'annunciazione della nascita della Vergine a S. Anna e a Gioacchino e del voto da loro fatto di farle prestare servizio presso il tempio per un breve periodo.
Maria nasce il 7° mese alla 7a ora di travaglio del giorno 8 settembre.
A 3 anni Maria viene presentata al tempio dove deve salire 15 gradini (quest'ultimi rappresentano i 15 salmi che i pellegrini compivano alla fine del loro pellegrinaggio arrivati al tempio).
A Turiacco c'è una pala, proveniente da una Chiesa di Gradisca, che si rifà proprio a questo episodio.
A 15 anni Maria viene data in sposa a S. Giuseppe dopo che il giglio sul suo bastone fu l'unico a fiorire quasi a significare che era un'unione voluta da Dio.
Secondo i testi apocrifi l'Annunciazione alla Vergine avviene mentre ella stava tessendo una tenda per il tempio, mentre i vangeli canonici ci riferiscono dell'Annunciazione avvenuta nei pressi di un pozzo.
Ci viene tramandato il viaggio verso Betlemme durante il quale Maria, incinta di Gesù, seduta su una giumenca, è trainata da uno dei figli di Giuseppe o, in altre versioni, da un angelo.
Nei testi apocrifi si dice che Gesù nacque in una grotta, al terzo giorno la Sacra famiglia si stabilì in una stalla dove Gesù venne messo in una mangiatoia tra il bue e l'asino. Anche qui vi rimasero 3 giorni.
Si parla inoltre della presenza delle levatrici tra cui Salomme che dubitava della verginità di Maria e per questo venne anche punita dalla divinità.
Lo stesso Giuseppe ci racconta che durante la nascita di Gesù tutto si fermò e tutti levarono i loro occhi al cielo.
Il 9 gennaio i tre magi d'oriente (Melcor, re dei Persiani, Gaspar, re degli Indi e Baldassar, re degli Arabi) giunsero al cospetto del Signore in quanto appresero la notizia del concepimento al momento stesso dell'Annunciazione e come lo videro gettarono ai suoi piedi delle monete d'oro.
Nei testi apocrifi si parla anche della fuga in Egitto annunciata a Giuseppe da un angelo.
Maria stanca si sedette sotto una palma e volle raccoglierne i frutti ma questa era troppo alta affinchè ciò fosse possibile quindi basto che Gesù chiese alla stessa di chinarsi così sua madre potè raccoglierne i frutti.
In alcuni testi apocrifi descrivono Gesù bambino come vendicativo, infatti a risposta dei dispetti fatti dagli altri bambini rispondeva con punizioni “divine” anche piuttosto pesanti tant'è che le mamme dei piccoli non volevano che questi giocassero con lui.
Per guarire i loro bimbi malati alcune madri chiedevano l'acqua in cui Gesù aveva fatto il bagno per immergervi i propri figli e quindi guarirli.
Nella Passione di Cristo, Maria, dopo aver appreso della condanna a morte del proprio figlio da Giovanni, si recò alla processione che conduceva al Golgota e qui si avvicinò lui accompagnata dall'apostolo Giovanni, da Marta, Maria Maddalena e Salomme.
I vangeli non parlano della discesa agli inferi di Gesù ma comunque questo momento è entrato a pieno titolo nella dottrina, infatti nelle immagini orientali vi è rappresentato il Cristo soprastante una porta a doppio battente divelta che prende per mano due vecchietti, l'uno Adamo e l'altra Eva e dietro ad essi un corteo di persone passate all'aldilà prima del Salvatore. E' un'immagine che evoca la redenzione.
I testi apocrifi ci riferiscono persino della morte della Vergine, una morte privilegiata. Quando ella sentì il suo tempo chiese a Giovanni di condurla ai luoghi sacri ed infine nel letto di morte dove si addormentò al cospetto di tutti i discepoli tranne Tommaso, che tornarono dai loro viaggi di evangelizzazione perchè richiamati da questo evento. Tommaso arrivò per ultimo e non credeva che la Vergine fosse ascesa ai cieli, quindi ella si risvegliò, gli diede la cintura e oltrepasso definitamente al Regno dei Cieli, sconfiggendo, così, incredulità del discepolo Tommaso.
La “Sant'Anna trinitaria” rappresenta Sant'Anna che abbraccia la Madonna e questa a sua volta il suo bambino a sottolineare la discendenza umana di Gesù per parte di madre.
“Il riposo durante la fuga in Egitto” è un'opera giovanile del Caravaggio nel quale viene rappresentato il riposo della Madonna con il bambino in pose assolutamente comuni. Giuseppe regge uno spartito che riporta una sinfonia tratta dal Cantico dei Cantici che viene eseguita da un angelo quasi a conciliare il sonno della sua sposa.
Il Caravaggio rischiò l'inquisizione in quanto per i suoi dipinti sacri si rifaceva a prostitute (per la rappresentazione delle Maddalena) e ad una donna affogata (per rappresentare la morte della Vergine).
Le sacre rappresentazioni, quindi, devono molto ai testi apocrifi.

venerdì 14 agosto 2009

UNA PROPOSTA PER LA GESTIONE DELL'ORGANIZZAZIONE DEGLI EVENTI IN FRIULI VENEZIA GIULIA

Spesso, sopratutto durante i fine settimana, quando con gli amici si discute sul da farsi nella serata, ci si trova dinnanzi ad un'offerta di eventi tavolta piuttosto scarna e talvolta piuttosto vasta e spesso mal distribuita.

Non succede poi così raramente che, nell'arco della stessa serata, si svolgano contemporaneamente più eventi di un certo rilievo, privando, a quel punto agli interessati la possibilità di partecipare a tutte le manifestazioni.

Lodevole è certamente l'obbiettivo del portale sul turismo gestito dalla Regione Friuli Venezia Giulia che raccoglie gli eventi principali che avvengono sul nostro territorioanche se forse un'integrazione del servizio RSS (strumento informatico che consente di avvisare l'utente che l'ha sottoscritto ogni qualvolta il sito viene aggiornato senza necessariamente collegarsi alla pagina web medesima con l'ausilio di un software o semplicemente usando il proprio account gmail. In tal modo è possibile tener sottocontrollo più siti ricevenone gli aggiornamenti. In definitiva è come se avessimo un giornale virtuale dove gli argomenti sono scelti dagli stessi lettori) potrebbe essere di reale interesse. Ma forse questo non basta.

Da giovane utilizzatrice di mezzi informatici, mi chiedo se forse non sarebbe utile tentare di creare uno spazio virtuale di condivisione dell'informazione, sfruttando internet, quindi a costi tutto sommato contenuti, dove far incontrare gli organizzatori dei principali eventi che si svolgono in Regione di modo da consentire loro di poter distribuire in sinergia ed in maniera omogenea, per quanto possibile, durante l'anno (peraltro impresa per nulla semplice se non a parole, ma forse, vista l'elevazione dell'intento, ne varrebbe davvero la pena). Diffondere poi queste informazioni mediante newsletters, rss e quant'altro potrebbe davvero accrescere il numero di soggetti coinvolti nella diffusione dell'informazione e che intendono partecipare alle manifestazioni che si svolgono in Regione e contemporaneamente aiutare a ridurre il digital divide che affligge ancora una parte della nostra popolazione.

giovedì 6 agosto 2009

John Lydon’s butter commercial

sogni bizzarri

Non sono normale. Sogno di fumarmi della cannabis con mio padre, il quale, nel momento onirico, è piuttosto divertito, e di incontrare quel burlone di Silvio, il quale, sempre nel sogno, mi sta pure simpatico. Ho proprio bisogno di una vacanza. Tiè.

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sabato 1 agosto 2009

il Gruppo Archeologico Goriziano "estromesso" dagli scavi di Piazza S. Antonio

In piazza Sant'Antonio sono stati riportati alla luce dei resti archeologici che hanno suscitato un notevole interesse da parte della cittadinanza, nonostante fossero già noti da tempo agli “addetti ai lavori”. L’architetto Kuzmin, responsabile comunale del progetto, interpellato in merito, ha difatti precisato, in una nota ricevuta dal gruppo, che i ruderi della chiesa di piazza Sant'Antonio erano noti già da tempo per l'essere stati posti in vista nell'aiuola centrale durante i lavori di ristrutturazione della piazza negli anni sessanta. In quell’occasione la struttura venne indagata da Luciano Spangher, che nel 1994 pubblicò "Gorizia e il Convento e la Chiesa dei frati minori conventuali".
In quel sito difatti, già nel XIII sec. si trovava in rovina una chiesetta dedicata a S. Marco (taluni,però, parlano di una chiesa intitolata a Santa Maria), su cui è stata edificata la chiesa di San Francesco dei frati minori conventuali con relativo cimitero e convento. La struttura funzionò fino al XVIII sec., quando, con decreto imperiale, furono soppressi gli ordini religiosi: di conseguenza fu smantellato il cimitero e alcuni corpi di nobili vennero spostati in altre chiese cittadine. La chiesa di S. Francesco fu poi demolita e nel 1823 si costruì la chiesa di S. Antonio, senza cimitero ed "incastonata" nel chiostro. Quindi in quell’area (anticamente la zona era conosciuta come Schonhaus), si trovava probabilmente il più antico cimitero di Gorizia.
Da alcuni recenti sopralluoghi, svolti dai soci singolarmente e naturalmente al di fuori del cantiere, è stato possibile individuare in maniera chiara il perimetro murario della chiesa e l’abside che, però, è stata ricoperta da un telone per finalità protettive.
Nel corso degli scavi archeologici, inoltre, sono stati recentemente ritrovati antichi resti umani. Si tratterebbe di sepolture risalenti presumibilmente a 600 anni fa, quando nella zona era presente il vecchio monastero. Dello studio di tali resti si occuperà l’Università degli Studi di Udine.
Nell’ultimo sopralluogo, avvenuto il 23 luglio, si è potuto notare l’avanzato stato dell’opera di ripavimentazione (parte è stata già posata) nonché un telone cangiante di tessuto-non tessuto a copertura di tutta l’area dell’antico edificio di culto, indizio, probabilmente, della fine delle ricerche archeologiche.
L’attuale progetto di riqualificazione prevedeva fin dall’inizio un apposito stanziamento per ricerche archeologiche. La Soprintendenza si è difatti riservata di attendere la fine del lavoro d'indagine per decidere se ricoprire, mettere in vista, sottovetro, o segnare con dei corsi di pietra la pianta della chiesetta, anche se allo stato attuale pare che l’ipotesi prevalente sia quella del ricoprimento delle strutture, di cui forse rimarrà a vista soltanto il perimetro segnato in pietra sul cemento della rinnovata piazza.
Purtroppo, la nostra Associazione, che aveva fin dall’inizio manifestato vivo interesse alla partecipazione ai lavori di scavo archeologico e eventuale divulgazione, non è stata minimamente coinvolta nel rinvenimento, e al momento dell’offerta di “manovalanza” (peraltro gratuita) non ha avuto la possibilità di accesso all’interno del cantiere per motivi di sicurezza e ciò, pertanto, non ci ha consentito di prendere parte nè alle operazioni di scavo né a meri sopralluoghi (nonostante il Gruppo sia coperto da assicurazione anche per queste attività), finalizzati anche solo ad eventuali future attività divulgative.
Nemmeno un’interpellanza comunale promossa da parte del consigliere Marco Marinčič, che aveva messo in evidenza il problema, non è risultata proficua per smuovere la nostra situazione di “estraneità” alla vicenda, nonostante un interessamento dello stesso sindaco Romoli (e la perplessità espressa personalmente dallo stesso Soprintendente Fozzati in merito al diniego di un semplice sopralluogo). A tal proposito, come gruppo, riteniamo che le Istituzioni dovrebbero promuovere le iniziative delle Associazioni presenti sul territorio nonché avvalersi delle stesse nel qual caso ne abbiamo le adeguate competenze.
Pare quindi assurdo, e per certi versi paradossale, che un gruppo che si occupa di archeologia, presente a Gorizia dal 2005, noto al pubblico e apprezzato per le sue numerose iniziative, i cui i soci hanno all’attivo numerose esperienze di scavo, non possa prendere parte, in nessuna forma, ad un rinvenimento avvenuto nella propria città e debba prestare servizio, magari, al di fuori della regione. Allo stato attuale non ci è rimasto altro che stare a guardare, cercando di seguire gli avvenimenti almeno in maniera indiretta per mezzo della stampa locale e di piccoli sopralluoghi, esterni all’area, che individualmente abbiamo intrapreso al fine di sentirci un po’ partecipi a questa vicenda e di documentarci per future iniziative in merito.
Infine lascia molto amareggiati e perplessi lo scarsissimo interesse dimostrato nella valorizzazione e nel recupero di un sito forse tra i più antichi miracolosamente sopravvissuti alla distruzione operata dalla Grande Guerra in città (si sarebbe potuto pensare, infatti, alla creazione di un itinerario turistico che mettesse in collegamento questo sito con l’area del Castello soprattutto durante la consolidata Festa di Primavera); un pezzo della storia millenaria di Gorizia viene risepolto sotto il cemento senza che, al di fuori della solita cerchia degli studiosi, la popolazione, che tanto interesse aveva dimostrato per il rinvenimento, venga minimamente coinvolta nella riscoperta della propria storia più antica e meno nota.

venerdì 26 giugno 2009

Invito a la "Quarta Sponda"



La Quarta Sponda 
Documenti e cinema sulla conquista della Libia tra storia e propaganda
"[...] Nel cielo vanno i cori dei soldati
Contro Al Mukhtar e Lawrence d'Arabia
Con canti popolari da osteria [...]"

Queste parole, contenute in una  bella canzone di Franco Battiato, "Lettera al Governatore della Libia", riassumono molto bene lo spirito con cui i nostri soldati affrontarono la campagna coloniale in Libia, intrapresa dall'Italia nei primi decenni del Novecento: una campagna dura, difficile, osteggiata dalla popolazione locale che oppose una strenua resistenza all'invasione e per questo subì pesantissime perdite, sia in termini di vite umane che di privazione della propria libertà. Una campagna coloniale molto rapida a cui fa  seguito una faticosa occupazione. Il controllo effettivo della Libia ad opera del fascismo con personaggi di spicco come Badoglio e Graziani è un capitolo dimenticato o perlomeno  trascurato nei libri di Storia, proprio per non compromettere "l'immagine" che la consuetudine ha contribuito ad affermare  e di questi protagonisti e della nazione italiana, nonostante studi approfonditi effettuati da esperti abbiano messo in luce ormai da anni le molte ed inquietanti ombre sull' operato delle massime cariche italiane in quei frangenti. Si tratta di uno degli episodi più scomodi con cui il nostro Paese deve ancora fare i conti, seppur tra mille polemiche, non ultima quella di recente sollevata dall'arrivo del Colonnello Gheddafi in Italia, presentatosi appena disceso dall'aereo che lo trasportava con la foto - esposta in bella vista- della cattura da parte degli italiani di Omar al-Mukhtar, l'eroe della resistenza libica fino al 1931. Proprio con il fine di far conoscere meglio come si svolse veramente la campagna libica e il punto di vista opposto, il Gruppo Archeologico Goriziano terrà, il prossimo venerdì 10 Luglio 2009, alle ore 21 nella sala 2 del Kinemax di Gorizia, un incontro aperto al pubblico e gratuito, intitolato "La Quarta Sponda - Documenti e cinema  sulla conquista della Libia tra storia e propaganda", realizzato con il Patrocinio del Comune  e della Provincia di Gorizia, grazie al generoso contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia e al prezioso supporto del Kinoatelje. Nell'arco della manifestazione, condotta da Giacomo Cavalli, verranno ripercorse le vicende principali della conquista coloniale della "quarta sponda", accompagnate dalla visione di alcune sequenze cruciali del film "Il leone del deserto", di Moustapha Akkad, frutto di una collaborazione tra Libia e Stati Uniti, uscito nel 1981 ma mai distribuito in Italia, proprio in ragione dei "fatti scomodi" di cui narra. 
Verranno analizzate le diverse "verità", così come le riportano il film ed i testi, sia specialistici che non, cercando di delinearne - anche  tramite il coinvolgimento diretto del pubblico in un dibattito che si auspica vivace - una visione unitaria che tenga conto delle contraddizioni spesso esistenti  tra le diverse fonti. Al termine verrà offerto un piccolo rinfresco  nell'atrio del Kinemax. Invitiamo pertanto la popolazione a partecipare numerosa a quella che  non vuole essere una lezione di Storia "ex- cathedra", ma un momento di dialogo e riflessione collettiva su un pezzo della nostra Storia poco noto e spesso volutamente omesso o manomesso nei contenuti, alla luce dei risultati di ricerche bibliografiche ed archivistiche che raramente  vengono discusse al di fuori della cerchia degli "addetti ai lavori".
 
Gruppo Archeologico Goriziano

sabato 6 giugno 2009

El me ciol pel cul

Uffa ormai è diventato un rito, tra l'altro odiosissimo. Ogni volta che dovrei andare a scavare piove! Ovvero il tempo fetente e bastardo minaccia di piovere, approffittando del fatto che abito un po' distante dai siti di scavo e che mi secca fare viaggi a vuoto (doppiamente bastardo), però poi si fa burla di me e regge sempre! Se regge anche oggi...grrrr!
Che SFIGA.

LE INSULE CLARAE E IL CULTO DI S. ANTONIO NEL PARCO DEL CARSO

L'intervento è stato curato dal dott. Aniello Langella che ha iniziato il suo percorso parlando al pubblico della derivazione dell'etimologia della zona che ancora oggi conosciamo con il nome di “Lisert”.
Tra le etimologie più frequenti possiamo ricordare: “lucertola”, “deserto” (dal celtico), “lembo di acque chiuse”. Si ritiene, comunque, che l'etimo più appropriato sia quello di “deserto” in quanto la zona sarà descritta anche successivamente come un ambiente inospitale.
Al centro della zona del Lisert si ritiene che vi fossero le Insule Clarae. La documentazione pervenuta in merito, purtroppo, non va più indietro del Iー sec. a.C. Nonostante ciò pare che Illiri ed Histri abitassero tali zone già nel Iー millenno a.C. anche se ad oggi le indagini archeologiche non ne hanno potuto dare conferma.
Aristotele, in un suo scritto, nel 300 a.C. Affermava che tale zona fosse “[...] sede di risorgive di acqua calda e fetida. [...]”. Con lui per la prima volta apprendiamo la presenza di acqua termale (“calda”) e di sostanze solforose (“fetida”).
Nel 77 d.C. Plinio il Vecchio ci ricorda la presenza di un golfo, di una fonte termale e di un ponte. Egli racconta di una sola isola. Ma vi è la certezza che egli avesse visitato di persona tali luoghi? Se li aveva visitati di persona, forse giungeva da una direzione tale che lui vedesse le isole allineate in modo tale da comporne una soltanto? Forse le isole erano unite da un lembo di terra? Questo punto non è ancora del tutto chiaro. Certo è che egli si riferisse proprio a queste zone visto che cita anche il lacus Timavi.
Il nome delle isole (Isole Chiare) deve la sua origine, probabilmente, al culto del dio Apollo Clario, culto dei dorici trasformatosi in seguito nel culto del dio Timavo.
In epoca romana sicuramente il luogo era un porto.
Consultando la cartografia antica ed in particolare la famosissima Tabula Peutingeriana, troviamo citata proprio la “fonte Timavi” con l'indicazione simbolica che soleva rappresentare la presenza di una terma.
Anticamente, proprio per la presenza di una fonte termale, l'area doveva esercitare una forte attrattiva soprattutto per la possibilità di immergersi nelle sue acque curative.
Il dott. Aniello Langella ha passato in rassegna una serie di immagini cartografiche storiche dalle quali possiamo ben desumere come nel tempo la geomorfologia dell'area del Lisert si sia evoluta. In particolare nelle prime rappresentazioni è possibile notare in maniera distinta la presenza di una sola isola, successivamente appare un secondo lembo di terra sino a che, nella cartografia più recente, le due isole, quella di S. Antonio e quella di Bagni, che successivamente verràchiamata “Isola di Punta”, le quali danno le spalle al cd “Lacus Timavi”, verranno inglobate dalla costa nel suo processo di avanzamento nei confronti del mare. Questo è chiaramente visibile nella cartografia degli anni '40 dove le due ex isole vengono chiamate rispettivamente “Monte S. Antonio” e “Monte della Punta”.
Sull'isola di S. Antonio si trovava una chiesetta dedicata proprio al Santo. I due lembi di terra erano collegati tra loro mediante dei ponticelli e alle loro spalle si trovavano le terme.
Le prime notizie che abbiamo in riferimento alla chiesetta di S. Antonio risalgono all'invasione saracena del 1470.
Una leggenda racconta che la costruzione dell'edificio sacro avvenne dopo un'epidemia di Herpes Zoster (“malattia del fuoco sacro”) che sarebbe stata di certa guarigione per intercessione del Santo.
Le indagini archeologiche non hanno potuto confermare la presenza su quest'isola di una necropoli, ma questo pare quasi certo grazie ad un editto napoleonico che vietava la sepoltura di ulteriori corpi in zona.
Nel giorno dedicato a S. Antonio Abate (detto anche “S. Antonio del Porco”) si svolgevano delle processioni religiose composte da un corteo di uomini ed animali, durante il quale venivano svolte delle benedizioni ad personam. Il cerimoniale si concludeva con un festoso banchetto al quale partecipavano tutti i devoti. Nel XII sec. la chiesetta è stata ristrutturata e compare una statua lignea del Santo.
Il ciclo di conferenze, di cui quella qui riportata è la conclusiva, è stato certamente proficuo dal punto di vista della divulgazione dell'informazione archeologica inerente al nostro territorio mettendo in evidenza degli aspetti poco conosciuti dello stesso. Sicuramente questo rappresenta un utile spunto per degli approfondimenti successivi volti alla ricerca delle nostre proprie radici che poggiano su un substrato culturale composto da storie e da genti da non dimenticare.


Roberta BATTISTON
Società Friulana di Archeologia - Sezione Isontina


[fonti: conferenza dott. Aniello Langella, immagini da http://www.liceopetrarcats.it/]

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