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venerdì 4 settembre 2009

LIMES: STORIE AL CONFINE TRA ARCHE' E TECHNE' un ciclo di conferenze organizzate del ga goriziano

Come ormai da qualche tempo, anche quest'anno si è rinnovato il consueto appuntamento con il ciclo di conferenze primaverili organizzate dal Gruppo Archeologico Goriziano.

Negli anni passati gli incontri, articolati in tre appuntamenti, hanno riguardato le origini e la vita delle popolazioni dell'Italia antica, quest'anno invece, con la promessa di ricominciare da laddove è avvenuta l'interruzione, il Gruppo Archeologico Goriziano ha deciso di affrontare un ciclo di interventi dal titolo: “Limes: storie al confine tra archè e technè”.

L'irruenza della tecnologia nelle nostre vite ha contribuito senza alcun dubbio all'introduzione di nuove metodologie a supporto dell'indagine archeologica, contribuendo a facilitare l'individuazione delle evidenze archeologiche in ambiente marino e in quello terrestre. Da qui nasce l'esigenza di voler divulgare e far conoscere questi nuovi strumenti ad appassionati o a semplici curiosi.

Come di consueto, pertanto, il ciclo di conferenze si è articolato in tre interventi successivi:

  • I INTERVENTO: “Archeologia e geomorfologia subacquea dal golfo di Trieste al Montenegro” - intervento del dott. Stefano FURLANI (Università degli Studi di Trieste) presso la Sala Consigliare della Provincia di Gorizia (10 aprile 2009);

  • II INTERVENTO: “Fotografia aerea e geoarcheologia lungo la via Annia” - intervento del prof. Alessandro FONTANA (Università degli Studi di Padova – Dipartimento di geografia) presso la Sala Consigliare della Provincia di Gorizia (17 aprile 2009);

  • III INTERVENTO: “Tra Aquileia e Lacus Timavi, il contesto del “ponte” romano di Ronchi dei Legionari” - intervento della dott.ssa dott.ssa Katharina ZANIER (Institute for Mediterranean Heritage – Università del Litorale - Koper) presso la Sala Consigliare della Provincia di Gorizia (24 aprile 2009);

Si riportano di seguito gli atti del convegno.

Archeologia e geomorfologia subacquea dal golfo di Trieste al Montenegro

dott. Stefano FURLANI (Università degli Studi di Trieste)

Le morfologie del suolo non sono solamente dipendenti dai movimenti dei ghiacciai ma anche dai movimenti della terra stessa che, pertanto, comportano un abbassamento o un innalzamento del fondale marino.

In questo contesto un connubio interdisciplinare appare vincente: l'integrazione dell'archeologia e della geomorfologia. Infatti l'evoluzione del territorio non incide solamente sull'ambiente naturale ma anche su quello antropico.

Svariati sono gli indicatori, sia naturali che non, che vengono utilizzati ai fini dello studio di strutture in ambienti marini:

  • indicatori geomorfologici:

  • notch (solchi marini);

  • marine terraces (terrazzamenti marini);

  • speleotemi;

  • grotte marine;

  • fori scavati da organismi.

  • indicatori archeologici:

  • moli;

  • piscinae (peschiere);

  • indicatori biologici:

  • fossili.

Dall'indagini effettuate risulta che le coste dell'Adriatico sono in abbassamento. Le ricerche, volte in tal senso, sono in grado di definire l'altezza del livello del mare in una determinata epoca laddove gli indicatori siano sufficienti a determinare tale datazione.

Il rilievo subacqueo, naturalmente, presenta maggiori difficoltà rispetto a quello terrestre. Basta pensare che nell' Adriatico il livello del mare subisce una variazione legata alle maree di 1,50 m. Tale variazione un tempo non veniva tenuta in considerazione nelle rilevazioni mentre oggi ne diviene una correzione fondamentale.

Le ricerche, susseguitesi nel tempo, hanno evidenziato la presenza di porti romani sommersi lungo le coste adriatiche in particolare in prossimità dell'area di Pago e Cherso (Pirazzoli '80). Altri studiosi come Fouache (2000), Antonioli (2004 – 2007) e Benac (2007) si sono interessati, negli anni successivi, allo studio delle coste dell'Adriatico orientale.

Nel Golfo di Trieste, ed in particolare nell'area che va da Duino a Sistiana, i ricercatori hanno evidenziato l'assenza del solco marino attuale e la presenza di uno più antico sommerso a circa 1,50 - 2,00 m di profondità.

A Punta Sottile è stata rilevata una piattaforma sommersa. Taluni hanno ipotizzato che potesse trattarsi di un lastricato romano in quanto i blocchi di cui è composta risultano estremamente regolari ma pare che questa ipotesi sia improbabile e che si tratti di terrazzamenti marini.

Nella stessa zona sono stati individuati dei moli romani ad una profondità di 1,40 m sotto il livello del mare. Dalle indagini si è potuto desumere che rispetto a detta struttura, originariamente, il livello del mare si trovava 0,60 m più in basso.

A Punta Grossa, invece, gli studiosi hanno individuato i resti di una peschiera romana.

Ad Isola (Izola) è stata individuata la presenza di un molo romano sopra il quale è stato costruito il molo attuale.

In località Canale di Leme (Limski Kanal), il notch si trova ad una profondità di circa 0,70 m e la sua datazione risulta impossibile. Alcuni indizi, però, hanno aiutato i ricercatori. Infatti a circa 4,00 m di profondità sono stati trovati organismi la cui datazione è di 4000 anni fa mentre a 0,50 m vi è la presenza di organismi di 500 anni fa. Il solco, trovandosi al di sotto di tale limite sta ad indicare che la sua datazione è molto recente.

A Brioni (Pola) sono state individuate delle strutture che si credeva fossero delle peschiere. Studi approfonditi hanno accertato, invece, che tali resti sono certamente delle mura portanti a cassa vuota di un edificio di epoca romana. Nelle zone adiacenti si segnala la presenza di moli romani

Cissa, la cui scomparsa riecheggia nelle nostre menti il mito atlantideo, si dice sia scomparsa interamente in seguito ad un terremoto avvenuto intorno al 250 d.C. Sulla costa sono visibili delle strutture di origine antropica tra cui edifici e il punto di arrivo di una cloaca.

In linea di massima da Trieste al Montenegro il solco marino risulta continuo ad eccezione di alcune isole presso le quali non esiste alcun solco.

A Pakostane sono stati individuati degli enormi massi che tecnicamente vengono indicati con il nome di beachrocks la cui formazione avviene per processi chimici e la loro struttura è molto regolare. Nelle zone limitrofe a questo sito sono stati individuati i residui di antiche saline romane nonché un relitto romano spiaggiato.

Le cause di abbassamento del fondale dell'Adriatico orientale non sono ancora del tutto chiare. Alcuni sostengono che il terremoto di Cissa abbia contribuito a questo fenomeno altri invece propendono per l'ipotesi che siano avvenuti una serie di terremoti locali. Entrambe le ipotesi appaiono agli studiosi azzardate.

Fotografia aerea e geoarcheologia lungo la via Annia

prof. Alessandro FONTANA (Università degli Studi di Padova – Dipartimento di geografia)

Il Dipartimento di geografia dell' Università degli Studi di Padova ha intrapreso da qualche anno un progetto di ricognizione ed individuazione del tracciato della via Annia, importante ed antica via di comunicazione che si staglia per circa 200km dal Veneto fino al Friuli Venezia Giulia dove trova la sua conclusione in prossimità di Aquileia.

Il progetto deve la sua realizzazione ai finanziamenti giunti da ARCUS s.p.a., Regione Veneto e Comune di Padova.

Questa ricerca di tipo geoarcheologico si avvale dei seguenti strumenti:

  1. fotointerpretazione di immagini satellitari, aerofotogrammetriche e foto aeree oblique;

  2. confronto di cartografia storica con cartografia più moderna;

  3. rilevamento terrestre di tipo geologico ed archeologico;

  4. datazioni (radiocarbonio, polliniche, etc.);

  5. confronto con dati archeologici.

Per quanto riguarda il rilevamento geoarcheologico, l'equipe di ricerca si è avvalsa fondamentalmente di sondaggi manuali (fino ad una profondità di 9 m), sondaggi meccanici (fino ad una profondità di 20 m), datazione di organismi, telerilevamento e fotografia obliqua.

Le foto oblique si differenziano da quelle satellitari in quanto sono riprese da posizioni non zenitali ma prospettiche. Questo ha, da una parte dei vantaggi, e dall'altra degli svantaggi. Un vantaggio è il fatto che le foto oblique, a differenza di quelle zenitali che vengono solitamente riprese durante la stagione invernale, sono di facile produzione in qualsiasi periodo dell'anno, questo fa sì che nei vari momenti sono percepibili diversi dettagli che magari poco dopo non sono più visibili infatti è opportuno ricordare che possono verificarsi differenze sostanziali anche a distanza di breve periodo.

Naturalmente la produzione di immagini oblique ha un costo inferiore rispetto a quelle zenitali.

Se le foto oblique sono in grado di darci un numero maggiore di dettagli relativi al territorio di studio, dall'altra parte sono ricche di deformazioni geometriche determinate dalla prospettiva. Affinchè queste immagini possano essere fotointerpretate, hanno bisogno di subire un procedimento detto di “raddrizzamento fotogrammetrico”. Nello specifico l'equipe di ricerca si avvale di un software opensource chiamato Airphoto.

La ripresa delle immagini oblique è avvenuta per mezzo di una fotocamera digitale con risoluzione di 13Mpixels.

Molto interessante è l'uso che viene fatto di queste immagini. In particolare vi è un'integrazione fra immagini zenitali ed oblique le quali vengono ricomposte, dopo il raddrizzamento, in un unico mosaico che raccoglie le foto più salienti a definire il tracciato della via Annia.

Fino al 2000 non era possibile fare foto oblique in quanto i manufatti militari presenti sul territorio erano segretati. In quell'anno c'è stata la liberalizzazione di tale contenuto geografico ed è quindi possibile eseguire delle immagini senza richiedere alcuna autorizzazione al Demanio militare. Ciò è evidentemente un evento che facilita l'indagine geoarcheologica in tal senso.

E' necessario ricordare l'importante collaborazione fornita dall'Aeroclub di Padova che ha messo a disposizione i propri velivoli per effettuare tutte le rilevazioni aeree.

Fino ad oggi l'indagine ha prodotto 15.000 immagini oblique ed altrettante ci si aspetta negli anni futuri. Questa evidente mole, però, dev'essere opportunamente archiviata in un SIT (sistema informativo territoriale).

Passiamo ora in rassegna i softwares utilizzati ai fini della presente indagine archeologica:

  • Airphoto: software per il raddrizzamento fotogrammetrico;

  • ArcGIS: software commerciale SIT per l'archiviazione e l'analisi dei dati territoriali;

  • GPS photo link: software che collega le foto digitali ad un sistema di coordinate GPS relativo alla posizione in cui sono state scattate (geoTagging).

Il dott. Fontana, durante l'intervento, ha passato in rassegna una serie interessantissima di immagini sia zenitali che oblique mettendo in evidenza la presenza di crop marks, soil marks e tracce di rotte fluviali (particolarmente evidenti nei campi di granturco che generalemte sono un buon indicatore al contrario del suolo nudo).

Di tutti i dati raccolti è stato creato un database che collegato a Google Earth individua il tracciato della via Annia e le immagini puntuali riprese lungo il percorso.

L'indagine geoarcheologica parte da Adria punto di inizio della via Annia. A detta del relatore, Adria è fino ad ora la città che ha dato i risultati migliori. Infatti sono state riscontrate molte evidenze archeologiche come ad esempio la centurazione romana.

Al contrario Aquileia, della quale ci si aspettava risultati più sorprendenti, ha deluso un po' le aspettative dei ricercatori in quanto non sono emerse evidenze archeologiche di un certo rilievo.

Proprio ad Adria, in periodo medievale, il tracciato dell'arteria di comunicazione è stato cancellato dalla formazione di un dosso fluviale (tale morfologia si forma quando un fiume comincia a produrre abbondanti sedimentazioni tali da innalzare il livello del suolo e rendere il corso d'acqua stesso pensile, questo è ad esempio il caso del Tagliamento in prossimità di Latisana).

L'indagine si è poi spostata a Mestre, Altino, Ca'Tron e San Donà di Piave.

Seguendo il tracciato della via Annia spesso ci si batte in manufatti dalle forme particolari. E' il caso di una struttura interrata dalla forma poligonale la cui funzione non è ancora ben nota anche se si crede potesse essere un accampamento temporaneo di epoca rinascimentale. Altre volte ci si imbatte in strutture che apparentemente potrebbero essere dei tracciati secondari e intersecantesi con la via Annia salvo poi l'amara delusione nello scoprire che, per esempio, si tratti di linee di elettrodotti.

Fino alla fine dell'800 l'arteria era ancora ben conservata. La rivoluzione urbana successiva ha contribuito alla cancellazione della sua evidenza.

Anche ad Altino i risultati della fotointerpretazione sono stati eccellenti. Dall'alto possiamo intravedere non solo l'oggetto d'indagine ma anche il foro con i suoi negozi, l'anfiteatro e l'odeon. Nell'area di Ca'Tron, già in epoca antica, la laguna ha sommerso parte del tracciato della via, pertanto è stata realizzata una variante al percorso stesso individuabile proprio dalla immagini dall'alto. Sempre nella medesima zona, sono stati trovati anche i resti di un ponte di legno.

Pare che la via abbia almeno 3000 anni!

Le immagini aeree hanno individuato una parcellizzazione dei campi a Cittanova.

Nel tratto Cittanova – S. Stino è stata individuata la presenza di due ponti: uno sul Canalat e l'altro sul Livenza. La strada era qui costruita su un terrapieno di 1,00-1,50 m rispetto al piano di campagna.

Nel tratto compreso tra S. Stino e Concordia la strada non ha un andamento rettilineo in quanto doveva superare una zona paludosa.

Per un certo tratto la strada è ubicata al di sotto del tracciato dell'attuale SS 14 Triestina che ricalca esattamente il suo percorso. In uno scavo adiacente alla SS sono stati individuati dei sedimenti torbosi e delle tegole di epoca romana.

A Concordia, in prossimità dell'attuale basilica, che sorge al di sopra di quella antica, sono visibili i resti del basolato della via Annia che si trovano ad un'altezza di 4,00 m al di sotto del piano di campagna.

In epoca romana Concordia era una sorta di isola circondata da paludi. Era pertanto isolata dalla pianura circostante e si trovava, di conseguenza, in un'ottima posizione difensiva. La Annia, quindi, doveva scendere nei terreni paludosi della bassura e risalire per giungere a Concordia.

Ad un certo punto, però, vi è una sedimentazione che ricopre l'Annia e riempe la bassura nella zona paludosa per una profondità di strato di circa 20 m andando a formare dei piccoli dossi. E' evidente, pertanto, che senza un sondaggio meccanico non si sarebbe potuta accertare la sua presenza. Le sabbie fluviali, inoltre, hanno ricoperto la strada che si trova vicino alla basilica, e che oggi risulta visibile, per uno spessore di 4 m.

In prossimità di Latisana il Tagliamento crea un dosso fluviale che cancella le tracce della strada romana.

Lo studio del tracciato ha messo in evidenza il fatto che la via Annia è stata progettata con un andamento rettilineo laddove questo era possibile mentre cambia il suo percorso in caso di morfologie particolarmente difficili da aggirare. Essa, inoltre, passa per insediamenti protostorici il che fa supporre alla sua presenza anche in epoca più antica.

A Muzzana la via Annia si trova esattamente al di sotto dell'attuale arteria di traffico mentre a Chiansacco dopo un tratto di coincidenza, essa vira verso Aquileia.

Le immagini aeree possono dare buoni risultati anche in campo marino. Durante le indagini per lo studio della via Annia i ricercatori hanno scattato una bellissima foto sulla laguna di Grado dove appare evidente la presenza della Villa della Palude della Carogna.

Tra Aquileia e Lacus Timavi, il contesto del “ponte” romano di Ronchi dei Legionari

dott.ssa Katharina Zanier (Institute for Mediterranean Heritage – Università del Litorale - Koper)

Il “ponte” romano di Ronchi dei Legionari, che sorgeva tra l'area di San Lorenzo e il monte Zochet. rappresenta, per gli archeologi, un caso particolare in quanto nei suoi pressi non si trova oggi alcun corso d'acqua.

A questo proposito sono state avanzate quattro ipotesi:

  • il corso principale dell'Isonzo aveva un andamento piedecarsico tale da rendere necessario l'attraversamento in questo sito con un'infrastruttura (Gregorutti);

  • il ponte sormontava un ramo secondario dell'Isonzo (del Ben);

  • in questa zona vi scorreva un emissario dei laghi carsici che veniva superato per mezzo di questo manufatto;

  • Nell'ipotesi della Bertacchi il ponte in realtà sarebbe l'acquedotto secondario di Aquileia pertanto non ci sarebbe stato alcun corso d'acqua da sormontare. Questa ipotesi sembra improbabile in quanto pare vi sarebbe stato un manufatto di quest'ultimo tipo proveniente da Scodovacca. Inoltre le indagini geomorfologiche hanno messo in evidenza la presenza di un paleoalveo proprio in questa zona. Del resto i toponimi attuali di via Raparoni e via Le Rive si rifanno sicuramente alla presenza di un corso d'acqua.

Un'ulteriore conferma del fatto che la funzione di questa infrastruttura fosse quella di consentire il passaggio è attestata dalla presenza di residui di alcune strade.

Il “ponte” era sicuramente collegato con la via del Carso e con la via Postumia e si trovava, inoltre, sul tracciato della via che conduceva a Tergeste.

Qualcuno, inoltre, ha avanzato l'ipotesi che il “ponte” fosse in realtà un viadotto. Ma le altimetrie della zona, che risulta qui pressoché pianeggiante, ne hanno dato la smentita.

Parte dei blocchi di cui era costituito sono stati reimpiegati in altri manufatti nelle epoche successive (ad esempio nella Chiesa di San Lorenzo a Ronchi possiamo individuare un blocco appartenente al “ponte” stesso).

Già nel 1880 rimanevano ancora pochi resti del ponte. Oggi non è più visibile a causa, principalmente, di tre motivi che hanno portato alla sua distruzione:

  • spogliazione avvenuta nelle epoche successive per il riuso del materiale in altri manufatti;

  • creazione del tracciato ferroviario (1860);

  • creazione del canale dei dottori.

La sua presenza, ad ogni modo, è attestata dalle fonti. Secondo lo studioso Brumati (1829), infatti, il manufatto sarebbe stato citato da Erodiano.

Da indagini sul sito sono state trovate delle lapidi funerarie che furono riutilizzate come materiale di recupero nella costruzione del ponte. Tra questi materiali è stato ritrovato un blocco raffigurante Priapo. Dopo lo smantellamento del ponte, tali materiali, sono stati reimpiegati nuovamente in altri manufatti tra cui uno della parrocchia di San Lorenzo. Queste lapidi sono databili alle metà del I? sec. d.C.

Probabilemte questi materiali lapidei erano stati prelevati proprio a Ronchi dei Legionari poiché qui i terreni da adibire a cimitero costavano certamente meno rispetto, ad esempio, ad Aquileia.

Un altro reinvenimento importante è stato il fregio che decorava il basamento di un probabile mausoleo sulla testa del ponte. Se la sua ricostruzione fosse fedele, esso rappresenterebbe da una parte degli oggetti sacrificali e dall'altra dei mostri marini musicanti in forma di tritone. Non si può escludere l'intento propagandistico di Ottaviano Augusto che forse voleva mettere in risalto le sue vittoriose battaglie marine.

La ricerca su questo manufatto non si arresta ed anzi l'auspicio è quello che le tecnologie utilizzate oggi a supporto dell'archeologia siano in grado di mettere in risalto sempre maggiori particolari di modo, un giorno, da poter regalare ai nostri occhi un altro pezzetto del passato del territorio in cui viviamo.

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