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lunedì 31 agosto 2009

ABITI TRADIZIONALI SCOZZESI

IL TARTAN
Il termine “tartan” probabilmente deriva dalla parola francese “tiretaiine” (il termine gaelico usato per identificare il tartan è “breacan”) e fu introdotto nel XVI sec quando la Scozia  era dinasticamente connessa con la Francia.
Il tartan erroneamente è chiamato “plaid”. Il termine gaelico “Plaide” significa “coperta” ed indica un vestito delle Highland composto da un largo tessuto.
In origine il kilt era conosciuto come “belted plaid” (“coperta arrotolata”) ed era composto da una larga coperta che era fissata con una cintura alla vita.
I plaid erano per lo più composti da una trama a tartan così la confusione tra “plaid” e “kilt” è giustificabile.
Il tartan è un pattern composto da linee che si intrecciano orizzontalmente e verticalmente a formare una trama che può essere intessuta o semplicemente dipinta o stampata.
Oggi si crede che le varie trame che assumono i tartan si riferiscano ai clan di appartenenza. Ma non è stato sempre così.
Il tartan ha una lunga storia. La prima forma conosciuta di tartan in Scozia è databile al III – IV sec d.C.
Nel resto del mondo abbiamo trame intrecciate già a partire dal 3000 a.C., ma solo in Scozia hanno assunto un significato sociale.
Originariamente il tartan non aveva né nome né significato specifico e le trame e i colori si differenziavano per area geografica. Non esisteva ancora una suddivisione della trama per clan.
Il tartan divenne estremamente popolare nelle cultura delle Highland scozzesi tanto che nel XVII e nel XVIII sec ne divenne l'abito caratteristico.
Dopo la battaglia di Culloden nel 1746, il governo inglese proibì di indossare il tartan nelle Highlands nel tentativo di sopprimere la ribellione della cultura scozzese.
Alla fine del VIII sec vi fu una ripresa della produzione del tartan ad opera per lo più di  William Wilson & Sons of Bannockburn (1765). Ben presto la firma divenne l'unica fornitrice di tartan per il Regimento delle Highlands. Vista la vasta produzione, ben presto produssero colori e trame standard.
Inizialmente le trame vennero identificate con dei numeri ma sucessivamente furono loro assegnati dei nomi. Tali nomi non solo si riferiscono a quelli dei clan delle Highlands, ma anche toponimi e alcuni nomi di fantasia. I nomi non erano rappresentativi ma erano volti a differenziare una trama dall'altra.
Nel libro di Wilson “Key Pattern Book” del 1819 vennero raccolte le rappresentazioni di alcune trame di tartan.
Agli inizi dell'800 nacque l'idea di assegnare alle varie trame di tartan, il nome dei caln.
Gli scozzesi espatriati e cresciuti all'estero cominciarono ad interessarsi alla conservazione della cultura delle Highlands.
Inizialmente nessuno aveva idea di quale fosse la trama del tartan del clan di loro appartenza, così ci si affidò alla memoria storica dei più anziani.
Nel 1822 venne fatta una festa in onore del re George IV che visitò Edinburgo e i partecipanti dovevano indossare il tartan del clan di loro appartenenza. Ma non tutti avevano un tartan che si riferisse al clan e così vennero creati ex novo per l'occasione.
La storia dello sviluppo del tartan continuò anche successivamente, ma ciò che preme rammentare e che il tartan per assumere un nome e divenire ufficiale dev'essere accettato dalle istituzioni governative e non deve essere necessariamente antico: può avere due o duecento anni!
Non è necessario che gli antenati abbiano indossato un determinato tartan affinchè questo venga accettato ufficialmente. Persino oggi si è liberi di sceglierne uno!
Oggi il tartan ha un preciso significato di appartenenza.
La sostanziale differenza tra il tartan scozzese e quello irlandese sta nel fatto che il primo si articola in intrecci verticali e orizzontali, mentre il secondo in intrecci diagonali.
I fornitori commerciali, oggi, producono intorno alle 500 – 700 trame, una quantità sufficiente da soddisfare la domanda di tartan. Ad ogni modo sono stati identificati circa 7000 tipi di tartan diversi.


IL KILT
Il kilt era un indumento nobile proveniente dall'area di Caledonia.
Se chiediamo ad un uomo irlandese quali sono le origini del kilt, ci risponderà che era un antico indumento irlandese e solo successivamente, con la migrazione dei celti, venne introdotto in Scozia e soprattuto gli irlandesi inventarono anche le cornamuse (“bagpipes”) e il whisky.
Un uomo inglese, invece, ci dirà che Thomas Rawlinson, un nativo inglese, inventò il kilt nel XVIII sec.
Molte delle nostre idee, infatti, sono basate su miti, leggende e credenze popolari e persino  su film di Hollywood. Il film hollywoodiano “Braveheart” fa raggelare il sangue dal punto di vista della filologicità dei costumi tradizionali ma ad ogni modo ci fornisce un'idea, sbagliata, ma romantica.
Molte informazioni sono raccolte nel libro “Old Irish and Highland Dress” di H.F. McClintock che contiene una documentazione sugli abiti galiziani.
Come detto precedentemente, pare che l'uso del kilt si sia diffuso prima in Irlanda e poi in Scozia anche se non vi sono evidenze storiche a sostegno.
Nel libro di McClintock  non c'è nulla che possa essere assimilato ad un kilt.
Sulle sculture irlandesi precedenti al 1100 nessuna figura indossa un kilt ma piuttosto una “tunica” chiamata “leine” lunga, solitamente,fino alle ginocchia (il kilt, invece si compone di due pezzi separati) sopra la quale veniva messo un mantello (“brat”). Possiamo avere un esempio guardando alcune sculture o le illustrazioni che ritroviamo nel libro di Kells. L'uso di questo indumento si protrasse anche durante il XVI sec.
Non si può minimamente pensare che questo indumento sia una prima versione di kilt.
Un'altra fonte di confusione deriva dal fatto che molte figure di soldati e cavalieri indossano armature “trapuntate” chiamate “acton”. Queste sono tuniche lunghe trappuntate ed imbottite e servivano come una sorta di leggera armatura. Spesso nelle sculture sono rappresentate con linee verticali che scendono lungo la leine.
Spostandoci nel '500, possiamo apprendere dal libro di Derricke “Image of Ireland” (1581) che gli uomini avevano indumenti composti da gonnelle con piegoline che sembrano dei kilt moderni che in realtà, invece, sono dei “leinte” composti da larghe maniche.
E' sbagliato pensare che il kilt in Scozia abbia origini medievali. Un'ulteriore confusione è creata dal film “Braveheart” nel quale vediamo un povera imitazione dei kilt del XVII sec e l'uso di dipingersi la faccia di blu in voga nel II sec d.C.!
McClintock cita un documento chiamato “Magnus Berfaet saga” che cita il re Magno che andò nelle isole occidentali della Scozia e adottò il vestiario tipico del luogo.
Gli uomini avevano corte tuniche con indumenti che coprivano la parte superiore del corpo. Questa è la prima citazione dell'esistenza del kilt anche se non sotto questo nome. Questo indumento corrisponde, invece, all'abito irlandese del tempo, il “leine” e il “brat” (“mantello irlandese”). L'uso del kilt non è attestabile prima del XVI sec.. Prima, ciò che la gente considera erroneamente un kilt, era un “leine” o un “acton”.
Il kilt del XVI sec. È chiamato in gaelico “feilidh-mhor” (“grande scialle”),  breacan-feile (“scialle di tartan”) o semplicemente “belted plaid” (“coperta arrotolata”). Tutti i termini si riferiscono allo stesso indumento che oggi è più conosciuto con il nome di "Great Kilt".
Il Plaid veniva usato come un mantello. Tale indumento non era usato nel XIII - XIV sec.
Tali indumenti venivano usati per la guerra e non per ornamento (letter to Rome by Bishop Lesley, 1578).
Il “belted plaid” è considerato la prima forma di kilt ed è attestato per la prima volta in un documento chiamato “Life of Red Hugh O’Donnell” di Lughaidh O’Clery che parla di un gruppo di mercenari dalle Hebrides scozzesi dal quale apprendiamo che questo era un modo di vestire tipicamente scozzese.
L'uso di questi abiti era diffuso tra gli Highlander.
In realtà non abbiamo assolutamente idea di come la gente indossasse il “belted plaid”.
Non c'era una lunghezza standard nel taglio dei kilt dei soldati scozzesi come sembra dimostrare un'immagine del 1641.
Allacciatevi una cintura di pelle attorno alla vita. Aggiungetevi un “dirk” (coltello) e uno “sporran” (borsello). Noterete un grosso quantitativo di materiale che scenderà lungo le vostre gambe e sulla cintura. Può essere disposto in molte maniere come illustrato nella figura del 1641.
Nel tempo il “belted plaid” divenne il kilt che oggi noi conosciamo grazie a Thomas Rawlinson nel 1730, quando nella sua fornace, i lavoratori, tutti vestiti con questo indumento avevano caldo e trovavano lo stesso scomodo. Così Rawlinson lo tagliò alla metà della sua lunghezza originale lasciandone praticamente solo il gonnellino. Così, il kilt, potè essere indossato separatamente dalla parte alta e prese il nome di “feilidh-beag” (“little wrap”) pronunciato “phillabeg” o "piccolo kilt" che si diffuse tra il XVII e il XVIII sec ed è considerato l'evoluzione naturale del “belted plaid” che Rawlinson fece indossare ai suoi lavoratori.
Il kilt oggi viene confezionato come una gonna a portafoglio, con una parte tesa davanti, dove avviene la sovrapposizione e una parte con pieghe. Viene tenuto chiuso da lacci di pelle con fibbia in alto e da una grossa spilla di sicurezza sul lembo sovrapposto.
L'Earasaid (Arisadh) era, invece, tradizionalmente un indumento usato dalle donne scozzesi prima del XIX sec molto simile al Great Kilt indossato dagli uomini.
[fonti]
http://www.scottishtartans.org/tartan.html
http://albanach.org/kilt.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Kilt
http://www.kilts-n-stuff.com/braveheart_stuff.html 

sabato 29 agosto 2009

I VANGELI APOCRIFI

conferenza tenuta da Don Mauro - Parroco della Chiesa dei Martiri Canziani (San Canzian d'Isonzo) per la Società Friulana di Archeologia - Sezione Isontina

Ci sono alcune domande a cui notoriamente i vangeli canonici non riescono a dar risposta e che trovano accoglimento soltanto attraverso la lettura del cd. “vangeli apocrifi”.
Il termine greco “apocrifos” si riferiva inizialmente a quelle religioni misteriche pagane i cui segreti potevano essere trasmessi solamente agli iniziati al culto, contrariamente, il termine “canon”, da cui deriva “canonico”, si riferisce alla forma perfetta (non di rado si sente parlare di canone estetico) e di conseguenza i testi canonici sono perfetti in quanto depositari della verità.
Già nel II sec. d.C. ci sono i primi testi canonici che nella religione ebraica, invece, non vennero subito accolti (libro di Giuditta, libro di Tobia, il Cantico dei Cantici, etc). Questi manoscritti vengono tradotti dal greco nel vulgata da S. Girolamo.
Uno dei motivi per cui il Cantico dei Cantici fece fatica ad esser accettato come testo canonico nella fede ebraica fu perchè non da subito la sua trama venne messa in stretta relazione con Dio.
Il testo parla di una coppia di sposini che si cercano. La lettura cristiana del testo assume la figura dello sposo come analogia a Dio e quella della sposa come analogia dell'umanità. Da qui il significato intrinseco che Dio e l'umanità si ricercano a vicenda.
Con il tempo il termine “apocrifos” comincia ad assumere una connotazione negativa in quanto ogni testo così identificato era di ignote origini e quindi da considerarsi eretico.
Già S. Girolamo e S. Agostino mettevano in guardia tutti dalla lettura degli apocrifi.
Anche nell' Acta Canti Cantiani e Cantianilli (V – VI sec.) viene sottolineato il fatto che i tre fratelli furono martiri per fede nei testi canonici (negando per tanto il credo in testi apocrifi).
La Chiesa non responge tutti i testi apocrifi ma solamente quelli scritti dopo la morte di Giovanni in quanto ultimo testimone attendibile dei fatti, da qui è facile desumere che non tutti i testi del genere sono eretici ed anzi talvolta si sono integrati perfettamente nella conoscenza dei fatti religiosi comune a tutti i fedeli.
Ci sono davvero una miriade di testi apocrifi, citiamone solamente alcuni:
Infanzia del Cristo: protovangelo di Giacomo, protovangelo di pseudo Tommaso, protovangelo di pseudo Matteo, Giuseppe il falegname, vangelo armeno dell'infanzia, etc.
Passione del Cristo: vangelo degli ebrei, vangelo di Pietro, vangelo di Nicodemo, la vendetta del Salvatore, transito della Maria Vergine:
Vangeli Gnostici: vangelo di Tommaso, vangelo di Filippo, vangelo della Maria Maddalena, Vangelo di Giuda.
Lo gnosticismo (da ghnósis, “conoscenza) è una corrente religiosa nella quale la salvezza dell'anima può derivare solamente per mezzo della conoscenza intuitiva dei misteri dell' Universo. L'uomo è sostanzialmente l'ultimo anello della “catena Universo”, la divinità rivela talvolta all'uomo alcuni nomi e alcuni misteri tanto che il fedele, dalla sua situazione primigenia e lontana dalla divinità, possa lentamente risalire la “catena” fino a raggiungere Dio e la salvezza dell'anima.
Il vangelo gnostico di Maria Magdala è un codice copto conservato a Berlino e scritto in lingua greca di cui le pagine iniziali, purtoppo, sono andate perdute.
Proprio Maria Maddalena è la protagonista di questo testo nel quale racconta agli altri discepoli, increduli, che Cristo è risorto e si è presentato per primo a lei. Alcuni dei suoi interlocutori si chiedono come mai lui sia apparso proprio ad una donna e non a loro, forse lui li ama di meno? Matteo prende una posizione difensiva nei confronti della donna dicendo che evidentemente lei ne era più meritevole.
Maria confida agli apostoli che Gesù a rivelato a lei alcuni nomi. I discepoli sono rinfrancati perchè possono percorrere il cammino della salvezza dell'anima.
Il vangelo di Filippo ci raccontanta di come Gesù amava più di tutti la Maddalena e di come spesso la baciava sulla bocca.
La Chiesa interpreta il bacio sulla bocca come la trasmissione della conoscenza (in perfetta filosofia gnostica) dal Cristo alla Maria Maddalena.
Una caratteristica comune ai testi gnostici è la presa di posizione critica nei confronti dei discepoli.
Il vangelo gnostico di Giuda si inserisce nel genere dei testi prodotti dalla setta dei cainoliti il cui scopo era di rendere positivo ciò che in realtà era negativo.
Il codice copto, scritto in greco, è databile al VI sec. E' stato rinvenuto negli anni '70 presumibilmente nel Medio Egitto e negli anni '80 approdò negli Sati Uniti. Nel 2006 c'è stato il restauro con la volontà di restituire al legittimo proprietario il testo (cosa ancora non avvenuta). Proprio a causa di questo i contenuti non sono ancora stati divulgati se non agli studiosi e ai ricercatori.
Il vangelo di Giuda riguarderebbe il resoconto di un segreto che Gesù avrebbe raccontato a Giuda prima della Pasqua.
Nell'ottica cainolita, il vangelo assume una connotazione positiva in quanto il tradimento di Giuda non è considerato tale, piuttosto assume un significato di liberazione dal proprio corpo della divinità insita in Gesù Cristo.
Le immagini sacre hanno tratto molta della loro iconografia dalla lettura dei testi apocrifi.
I vangeli canonici fanno un resoconto molto sbrigativo sulla vita di Maria Vergine ed è per questo che ci rivolgiamo ai testi apocrifi dai quali apprendiamo dell'annunciazione della nascita della Vergine a S. Anna e a Gioacchino e del voto da loro fatto di farle prestare servizio presso il tempio per un breve periodo.
Maria nasce il 7° mese alla 7a ora di travaglio del giorno 8 settembre.
A 3 anni Maria viene presentata al tempio dove deve salire 15 gradini (quest'ultimi rappresentano i 15 salmi che i pellegrini compivano alla fine del loro pellegrinaggio arrivati al tempio).
A Turiacco c'è una pala, proveniente da una Chiesa di Gradisca, che si rifà proprio a questo episodio.
A 15 anni Maria viene data in sposa a S. Giuseppe dopo che il giglio sul suo bastone fu l'unico a fiorire quasi a significare che era un'unione voluta da Dio.
Secondo i testi apocrifi l'Annunciazione alla Vergine avviene mentre ella stava tessendo una tenda per il tempio, mentre i vangeli canonici ci riferiscono dell'Annunciazione avvenuta nei pressi di un pozzo.
Ci viene tramandato il viaggio verso Betlemme durante il quale Maria, incinta di Gesù, seduta su una giumenca, è trainata da uno dei figli di Giuseppe o, in altre versioni, da un angelo.
Nei testi apocrifi si dice che Gesù nacque in una grotta, al terzo giorno la Sacra famiglia si stabilì in una stalla dove Gesù venne messo in una mangiatoia tra il bue e l'asino. Anche qui vi rimasero 3 giorni.
Si parla inoltre della presenza delle levatrici tra cui Salomme che dubitava della verginità di Maria e per questo venne anche punita dalla divinità.
Lo stesso Giuseppe ci racconta che durante la nascita di Gesù tutto si fermò e tutti levarono i loro occhi al cielo.
Il 9 gennaio i tre magi d'oriente (Melcor, re dei Persiani, Gaspar, re degli Indi e Baldassar, re degli Arabi) giunsero al cospetto del Signore in quanto appresero la notizia del concepimento al momento stesso dell'Annunciazione e come lo videro gettarono ai suoi piedi delle monete d'oro.
Nei testi apocrifi si parla anche della fuga in Egitto annunciata a Giuseppe da un angelo.
Maria stanca si sedette sotto una palma e volle raccoglierne i frutti ma questa era troppo alta affinchè ciò fosse possibile quindi basto che Gesù chiese alla stessa di chinarsi così sua madre potè raccoglierne i frutti.
In alcuni testi apocrifi descrivono Gesù bambino come vendicativo, infatti a risposta dei dispetti fatti dagli altri bambini rispondeva con punizioni “divine” anche piuttosto pesanti tant'è che le mamme dei piccoli non volevano che questi giocassero con lui.
Per guarire i loro bimbi malati alcune madri chiedevano l'acqua in cui Gesù aveva fatto il bagno per immergervi i propri figli e quindi guarirli.
Nella Passione di Cristo, Maria, dopo aver appreso della condanna a morte del proprio figlio da Giovanni, si recò alla processione che conduceva al Golgota e qui si avvicinò lui accompagnata dall'apostolo Giovanni, da Marta, Maria Maddalena e Salomme.
I vangeli non parlano della discesa agli inferi di Gesù ma comunque questo momento è entrato a pieno titolo nella dottrina, infatti nelle immagini orientali vi è rappresentato il Cristo soprastante una porta a doppio battente divelta che prende per mano due vecchietti, l'uno Adamo e l'altra Eva e dietro ad essi un corteo di persone passate all'aldilà prima del Salvatore. E' un'immagine che evoca la redenzione.
I testi apocrifi ci riferiscono persino della morte della Vergine, una morte privilegiata. Quando ella sentì il suo tempo chiese a Giovanni di condurla ai luoghi sacri ed infine nel letto di morte dove si addormentò al cospetto di tutti i discepoli tranne Tommaso, che tornarono dai loro viaggi di evangelizzazione perchè richiamati da questo evento. Tommaso arrivò per ultimo e non credeva che la Vergine fosse ascesa ai cieli, quindi ella si risvegliò, gli diede la cintura e oltrepasso definitamente al Regno dei Cieli, sconfiggendo, così, incredulità del discepolo Tommaso.
La “Sant'Anna trinitaria” rappresenta Sant'Anna che abbraccia la Madonna e questa a sua volta il suo bambino a sottolineare la discendenza umana di Gesù per parte di madre.
“Il riposo durante la fuga in Egitto” è un'opera giovanile del Caravaggio nel quale viene rappresentato il riposo della Madonna con il bambino in pose assolutamente comuni. Giuseppe regge uno spartito che riporta una sinfonia tratta dal Cantico dei Cantici che viene eseguita da un angelo quasi a conciliare il sonno della sua sposa.
Il Caravaggio rischiò l'inquisizione in quanto per i suoi dipinti sacri si rifaceva a prostitute (per la rappresentazione delle Maddalena) e ad una donna affogata (per rappresentare la morte della Vergine).
Le sacre rappresentazioni, quindi, devono molto ai testi apocrifi.

venerdì 14 agosto 2009

UNA PROPOSTA PER LA GESTIONE DELL'ORGANIZZAZIONE DEGLI EVENTI IN FRIULI VENEZIA GIULIA

Spesso, sopratutto durante i fine settimana, quando con gli amici si discute sul da farsi nella serata, ci si trova dinnanzi ad un'offerta di eventi tavolta piuttosto scarna e talvolta piuttosto vasta e spesso mal distribuita.

Non succede poi così raramente che, nell'arco della stessa serata, si svolgano contemporaneamente più eventi di un certo rilievo, privando, a quel punto agli interessati la possibilità di partecipare a tutte le manifestazioni.

Lodevole è certamente l'obbiettivo del portale sul turismo gestito dalla Regione Friuli Venezia Giulia che raccoglie gli eventi principali che avvengono sul nostro territorioanche se forse un'integrazione del servizio RSS (strumento informatico che consente di avvisare l'utente che l'ha sottoscritto ogni qualvolta il sito viene aggiornato senza necessariamente collegarsi alla pagina web medesima con l'ausilio di un software o semplicemente usando il proprio account gmail. In tal modo è possibile tener sottocontrollo più siti ricevenone gli aggiornamenti. In definitiva è come se avessimo un giornale virtuale dove gli argomenti sono scelti dagli stessi lettori) potrebbe essere di reale interesse. Ma forse questo non basta.

Da giovane utilizzatrice di mezzi informatici, mi chiedo se forse non sarebbe utile tentare di creare uno spazio virtuale di condivisione dell'informazione, sfruttando internet, quindi a costi tutto sommato contenuti, dove far incontrare gli organizzatori dei principali eventi che si svolgono in Regione di modo da consentire loro di poter distribuire in sinergia ed in maniera omogenea, per quanto possibile, durante l'anno (peraltro impresa per nulla semplice se non a parole, ma forse, vista l'elevazione dell'intento, ne varrebbe davvero la pena). Diffondere poi queste informazioni mediante newsletters, rss e quant'altro potrebbe davvero accrescere il numero di soggetti coinvolti nella diffusione dell'informazione e che intendono partecipare alle manifestazioni che si svolgono in Regione e contemporaneamente aiutare a ridurre il digital divide che affligge ancora una parte della nostra popolazione.

giovedì 6 agosto 2009

John Lydon’s butter commercial

sogni bizzarri

Non sono normale. Sogno di fumarmi della cannabis con mio padre, il quale, nel momento onirico, è piuttosto divertito, e di incontrare quel burlone di Silvio, il quale, sempre nel sogno, mi sta pure simpatico. Ho proprio bisogno di una vacanza. Tiè.

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sabato 1 agosto 2009

il Gruppo Archeologico Goriziano "estromesso" dagli scavi di Piazza S. Antonio

In piazza Sant'Antonio sono stati riportati alla luce dei resti archeologici che hanno suscitato un notevole interesse da parte della cittadinanza, nonostante fossero già noti da tempo agli “addetti ai lavori”. L’architetto Kuzmin, responsabile comunale del progetto, interpellato in merito, ha difatti precisato, in una nota ricevuta dal gruppo, che i ruderi della chiesa di piazza Sant'Antonio erano noti già da tempo per l'essere stati posti in vista nell'aiuola centrale durante i lavori di ristrutturazione della piazza negli anni sessanta. In quell’occasione la struttura venne indagata da Luciano Spangher, che nel 1994 pubblicò "Gorizia e il Convento e la Chiesa dei frati minori conventuali".
In quel sito difatti, già nel XIII sec. si trovava in rovina una chiesetta dedicata a S. Marco (taluni,però, parlano di una chiesa intitolata a Santa Maria), su cui è stata edificata la chiesa di San Francesco dei frati minori conventuali con relativo cimitero e convento. La struttura funzionò fino al XVIII sec., quando, con decreto imperiale, furono soppressi gli ordini religiosi: di conseguenza fu smantellato il cimitero e alcuni corpi di nobili vennero spostati in altre chiese cittadine. La chiesa di S. Francesco fu poi demolita e nel 1823 si costruì la chiesa di S. Antonio, senza cimitero ed "incastonata" nel chiostro. Quindi in quell’area (anticamente la zona era conosciuta come Schonhaus), si trovava probabilmente il più antico cimitero di Gorizia.
Da alcuni recenti sopralluoghi, svolti dai soci singolarmente e naturalmente al di fuori del cantiere, è stato possibile individuare in maniera chiara il perimetro murario della chiesa e l’abside che, però, è stata ricoperta da un telone per finalità protettive.
Nel corso degli scavi archeologici, inoltre, sono stati recentemente ritrovati antichi resti umani. Si tratterebbe di sepolture risalenti presumibilmente a 600 anni fa, quando nella zona era presente il vecchio monastero. Dello studio di tali resti si occuperà l’Università degli Studi di Udine.
Nell’ultimo sopralluogo, avvenuto il 23 luglio, si è potuto notare l’avanzato stato dell’opera di ripavimentazione (parte è stata già posata) nonché un telone cangiante di tessuto-non tessuto a copertura di tutta l’area dell’antico edificio di culto, indizio, probabilmente, della fine delle ricerche archeologiche.
L’attuale progetto di riqualificazione prevedeva fin dall’inizio un apposito stanziamento per ricerche archeologiche. La Soprintendenza si è difatti riservata di attendere la fine del lavoro d'indagine per decidere se ricoprire, mettere in vista, sottovetro, o segnare con dei corsi di pietra la pianta della chiesetta, anche se allo stato attuale pare che l’ipotesi prevalente sia quella del ricoprimento delle strutture, di cui forse rimarrà a vista soltanto il perimetro segnato in pietra sul cemento della rinnovata piazza.
Purtroppo, la nostra Associazione, che aveva fin dall’inizio manifestato vivo interesse alla partecipazione ai lavori di scavo archeologico e eventuale divulgazione, non è stata minimamente coinvolta nel rinvenimento, e al momento dell’offerta di “manovalanza” (peraltro gratuita) non ha avuto la possibilità di accesso all’interno del cantiere per motivi di sicurezza e ciò, pertanto, non ci ha consentito di prendere parte nè alle operazioni di scavo né a meri sopralluoghi (nonostante il Gruppo sia coperto da assicurazione anche per queste attività), finalizzati anche solo ad eventuali future attività divulgative.
Nemmeno un’interpellanza comunale promossa da parte del consigliere Marco Marinčič, che aveva messo in evidenza il problema, non è risultata proficua per smuovere la nostra situazione di “estraneità” alla vicenda, nonostante un interessamento dello stesso sindaco Romoli (e la perplessità espressa personalmente dallo stesso Soprintendente Fozzati in merito al diniego di un semplice sopralluogo). A tal proposito, come gruppo, riteniamo che le Istituzioni dovrebbero promuovere le iniziative delle Associazioni presenti sul territorio nonché avvalersi delle stesse nel qual caso ne abbiamo le adeguate competenze.
Pare quindi assurdo, e per certi versi paradossale, che un gruppo che si occupa di archeologia, presente a Gorizia dal 2005, noto al pubblico e apprezzato per le sue numerose iniziative, i cui i soci hanno all’attivo numerose esperienze di scavo, non possa prendere parte, in nessuna forma, ad un rinvenimento avvenuto nella propria città e debba prestare servizio, magari, al di fuori della regione. Allo stato attuale non ci è rimasto altro che stare a guardare, cercando di seguire gli avvenimenti almeno in maniera indiretta per mezzo della stampa locale e di piccoli sopralluoghi, esterni all’area, che individualmente abbiamo intrapreso al fine di sentirci un po’ partecipi a questa vicenda e di documentarci per future iniziative in merito.
Infine lascia molto amareggiati e perplessi lo scarsissimo interesse dimostrato nella valorizzazione e nel recupero di un sito forse tra i più antichi miracolosamente sopravvissuti alla distruzione operata dalla Grande Guerra in città (si sarebbe potuto pensare, infatti, alla creazione di un itinerario turistico che mettesse in collegamento questo sito con l’area del Castello soprattutto durante la consolidata Festa di Primavera); un pezzo della storia millenaria di Gorizia viene risepolto sotto il cemento senza che, al di fuori della solita cerchia degli studiosi, la popolazione, che tanto interesse aveva dimostrato per il rinvenimento, venga minimamente coinvolta nella riscoperta della propria storia più antica e meno nota.

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