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sabato 1 agosto 2009

il Gruppo Archeologico Goriziano "estromesso" dagli scavi di Piazza S. Antonio

In piazza Sant'Antonio sono stati riportati alla luce dei resti archeologici che hanno suscitato un notevole interesse da parte della cittadinanza, nonostante fossero già noti da tempo agli “addetti ai lavori”. L’architetto Kuzmin, responsabile comunale del progetto, interpellato in merito, ha difatti precisato, in una nota ricevuta dal gruppo, che i ruderi della chiesa di piazza Sant'Antonio erano noti già da tempo per l'essere stati posti in vista nell'aiuola centrale durante i lavori di ristrutturazione della piazza negli anni sessanta. In quell’occasione la struttura venne indagata da Luciano Spangher, che nel 1994 pubblicò "Gorizia e il Convento e la Chiesa dei frati minori conventuali".
In quel sito difatti, già nel XIII sec. si trovava in rovina una chiesetta dedicata a S. Marco (taluni,però, parlano di una chiesa intitolata a Santa Maria), su cui è stata edificata la chiesa di San Francesco dei frati minori conventuali con relativo cimitero e convento. La struttura funzionò fino al XVIII sec., quando, con decreto imperiale, furono soppressi gli ordini religiosi: di conseguenza fu smantellato il cimitero e alcuni corpi di nobili vennero spostati in altre chiese cittadine. La chiesa di S. Francesco fu poi demolita e nel 1823 si costruì la chiesa di S. Antonio, senza cimitero ed "incastonata" nel chiostro. Quindi in quell’area (anticamente la zona era conosciuta come Schonhaus), si trovava probabilmente il più antico cimitero di Gorizia.
Da alcuni recenti sopralluoghi, svolti dai soci singolarmente e naturalmente al di fuori del cantiere, è stato possibile individuare in maniera chiara il perimetro murario della chiesa e l’abside che, però, è stata ricoperta da un telone per finalità protettive.
Nel corso degli scavi archeologici, inoltre, sono stati recentemente ritrovati antichi resti umani. Si tratterebbe di sepolture risalenti presumibilmente a 600 anni fa, quando nella zona era presente il vecchio monastero. Dello studio di tali resti si occuperà l’Università degli Studi di Udine.
Nell’ultimo sopralluogo, avvenuto il 23 luglio, si è potuto notare l’avanzato stato dell’opera di ripavimentazione (parte è stata già posata) nonché un telone cangiante di tessuto-non tessuto a copertura di tutta l’area dell’antico edificio di culto, indizio, probabilmente, della fine delle ricerche archeologiche.
L’attuale progetto di riqualificazione prevedeva fin dall’inizio un apposito stanziamento per ricerche archeologiche. La Soprintendenza si è difatti riservata di attendere la fine del lavoro d'indagine per decidere se ricoprire, mettere in vista, sottovetro, o segnare con dei corsi di pietra la pianta della chiesetta, anche se allo stato attuale pare che l’ipotesi prevalente sia quella del ricoprimento delle strutture, di cui forse rimarrà a vista soltanto il perimetro segnato in pietra sul cemento della rinnovata piazza.
Purtroppo, la nostra Associazione, che aveva fin dall’inizio manifestato vivo interesse alla partecipazione ai lavori di scavo archeologico e eventuale divulgazione, non è stata minimamente coinvolta nel rinvenimento, e al momento dell’offerta di “manovalanza” (peraltro gratuita) non ha avuto la possibilità di accesso all’interno del cantiere per motivi di sicurezza e ciò, pertanto, non ci ha consentito di prendere parte nè alle operazioni di scavo né a meri sopralluoghi (nonostante il Gruppo sia coperto da assicurazione anche per queste attività), finalizzati anche solo ad eventuali future attività divulgative.
Nemmeno un’interpellanza comunale promossa da parte del consigliere Marco Marinčič, che aveva messo in evidenza il problema, non è risultata proficua per smuovere la nostra situazione di “estraneità” alla vicenda, nonostante un interessamento dello stesso sindaco Romoli (e la perplessità espressa personalmente dallo stesso Soprintendente Fozzati in merito al diniego di un semplice sopralluogo). A tal proposito, come gruppo, riteniamo che le Istituzioni dovrebbero promuovere le iniziative delle Associazioni presenti sul territorio nonché avvalersi delle stesse nel qual caso ne abbiamo le adeguate competenze.
Pare quindi assurdo, e per certi versi paradossale, che un gruppo che si occupa di archeologia, presente a Gorizia dal 2005, noto al pubblico e apprezzato per le sue numerose iniziative, i cui i soci hanno all’attivo numerose esperienze di scavo, non possa prendere parte, in nessuna forma, ad un rinvenimento avvenuto nella propria città e debba prestare servizio, magari, al di fuori della regione. Allo stato attuale non ci è rimasto altro che stare a guardare, cercando di seguire gli avvenimenti almeno in maniera indiretta per mezzo della stampa locale e di piccoli sopralluoghi, esterni all’area, che individualmente abbiamo intrapreso al fine di sentirci un po’ partecipi a questa vicenda e di documentarci per future iniziative in merito.
Infine lascia molto amareggiati e perplessi lo scarsissimo interesse dimostrato nella valorizzazione e nel recupero di un sito forse tra i più antichi miracolosamente sopravvissuti alla distruzione operata dalla Grande Guerra in città (si sarebbe potuto pensare, infatti, alla creazione di un itinerario turistico che mettesse in collegamento questo sito con l’area del Castello soprattutto durante la consolidata Festa di Primavera); un pezzo della storia millenaria di Gorizia viene risepolto sotto il cemento senza che, al di fuori della solita cerchia degli studiosi, la popolazione, che tanto interesse aveva dimostrato per il rinvenimento, venga minimamente coinvolta nella riscoperta della propria storia più antica e meno nota.

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