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venerdì 3 ottobre 2008

Convegno sulle Anfore Italiche: il Restauro.

Interventi di: dott. Massimo Fumolo, dott.ssa Piorico Michaela della Società Friulana di Archeologia

Durante lo scorso incontro il dott. Massimo Fumolo, aveva simpaticamente invitato il pubblico presente all' individuazione dell'Anfora in esposizione con la promessa di "svelare" la soluzione nell'incontro successivo. L'archeologo non fa attendere oltre il pubblico impaziente e svela subito l'identità della nostra anfora.
L'oggetto in questione è un'anfora di tipo Dressel 25 (molto simile alle Dressel 20) di provenienza orientale (probabilmente egea). Si tratta di un manufatto abbastanza comune la cui produzione avvenne tra il I° e il III° sec. d.C. il cui contenuto è ad oggi sconosciuto, ma l'ipotesi maggiormente plausibile ci indica quest'oggetto come un'anfora vinaria e olearia non impeciata.
La Dressel 1 fu la prima anfora romana vinaria che venne prodotta in Toscana, Lazio, Campania e si diffuse in tutto il Mediterraneo.
La Carta del Restauro è datata 1931 e ne stabilisce i principi che possono essere così sintetizzati:

  1. il restauro ha solamente fini conservativi e non ricostruttivi;
  2. le parti originali devono essere individuabili e facilmente riconoscibili dalle integrazioni (ad. esempio in fase di restauro i colori delle integrazioni dovranno essere più chiari ai fini del riconoscimento);
  3. necessità di produrre documentazione scritta (giornale del restauro) per annotare le metodologie, i materiali e le colle utilizzati (la conoscenza della colla permette l'immediato riconoscimento del solvente da utilizzare al fine di scomporre nuovamente i pezzi dell'oggetto);
  4. reversibilità del restauro;
  5. le integrazioni vanno fatte solamente quando si ha a disposizione il 51% di frammenti originari (la scuola italiana adotta questa regola che ad ogni modo non è riconosciuta dalla scuola tedesca e da quella slovena);

Le fasi del restauro sono facilmente classificabili come segue:

  1. pulizia: in questa fase è necessario prestare particolare attenzione alla pulizia delle fratture perchè i residui di terra, ad esempio, potrebbero provocare dei problemi in fase di incollaggio. Per le ceramiche fragili, dipinte e invetriate è opportuno agire a secco con l'ausilio di un comune spazzolino da denti in quanto l'acqua potrebbe danneggiare le parti dell'oggetto. Tale metodo è scarsamente utilizzato mentre viene preferito l'utilizzo combinato di spazzolino ed acqua per tutte le altre ceramiche. Qualora ciò non fosse sufficiente si interviene mediante bisturi. Se tale tipo di pulizia non risultasse ancora. Le incrostazioni delle fratture vanno sempre tolte, mentre si potrebbe decidere di lasciare quelle in superficie ed anzi di conservarle in quanto costituisco, ad esempio, un importante dato storico;
  2. assemblaggio: Con minuzia si va alla ricerca degli attacchi e quando questi vengono identificati vengono numerati o su nastro adesivo o direttamente sulla parte interna dell'oggetto;
  3. incollaggio: le colle devono presentare determinate caratteristiche: buona durata, devono essere trasparenti, devono essere reversibili, devono avere poco spessore. Il Vinavil viene utilizzato perchè è reversibile e ha una discreta tenuta ma dà problemi per la colorazione bianca che con il tempo tende ad ingiallire. Tale colla è stata progressivamente sostituita con il K60 che è una polvere che viene sciolta in alcool denaturato che assume consistenza mielosa e se scaldato perde l'alcool e acquista potere incollante. Ha un'ottima tenuta. I frammenti fanno presa dopo 15min, ma, in realtà, vengono lasciati a riposare per ore. Esistono delle colle a presa ancor più rapida ma, per contro, sono meno reversibili del K60 (il quale per essere sciolto richiede acetone o semplicemente acqua). Quando si utilizzano questi tipi di colle è necessario prima stendere sulla frattura il Paraloid che isola la colla dall'oggetto. E' altamente sconsigliato l'uso di colle aggressive quali quelle comunemente impiegate. Lincollaggio si fa a partire dall'orlo oppure dal fondo. Se non abbiamo nessuna delle due parti, si inizia dai frammenti più grandi;
  4. integrazioni: i materiali utilizzati sono il gesso (nel caso della dimostrazione è stato utilizzato gesso alabastrino) o stucco. La proprietà del gesso alabastrino è quella di avere un indurimento piuttosto elevato.

Nella dimostrazione pratica di integrazione di un'anfora di tipo Dressel 25, sono stati utilizzati dei fogli di cera da odontotecnico che sono stati preventivamente riscaldati al fine di renderli lavorabili e sono stati applicati internamente all'anfora dove l'operatore ha dato loro la curvatura desiderata per l'integrazione. Una volta definita, opportunatamente, la forma, sono stati applicati laddove era necessaria l'integrazione fissandoli all'anfora per mezzo di nastro adesivo.
Si passa ora alla preparazione della miscela gesso - acqua le cui dosi sono state fatte in parti uguali (6 cucchiai di acqua e 6 cucchiai di gesso). Miscelato il composto fino ad ottenere l'impasto desiderato, è stato steso sui fogli di cera con particolare cura per gli inserti nelle fessure (il gesso qui è stato steso mediante bisturi).
Una volta steso il composto, dal momento della reazione del gesso (che si verifica con un surriscaldamento) fino al raffreddamento il lavoro dev'essere interrotto. Successivamente si procede alla lisciatura dell'impasto mediante bisturi, spatole e quant'altro.
La colorazione del gesso può avvenire miscelando all'impasto delle terre, oppure dopo l'indurimento mediante spray con colori a tempera.

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