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venerdì 26 settembre 2008

Convegno sulle Anfore Italiche

intervento del dott. Massimo Fumolo (Società Friulana di Archeologia)

Le anfore italiche venivano realizzate al tornio. Venivano prima create le singole parti (collo, pancia, puntoni e manici) e poi venivano assemblate assieme. Subito dopo avveniva la cottura: prima l'anfora, ormai assemblata, veniva fatta essiccare per 10gg all'aria, poi doveva essere immessa nel forno. I primi 3gg servivano per caricare il forno di anfore (che era costituito da un ambiente a volta di botte e aveva, normalmente, una capacità di 70m3). Questa operazione veniva fatta dai ragazzini che così potevano raggiungere i posti più inaccessibili del forno.
Normalmente in un forno vi stavano 1000 anfore. Per cuocerle erano necessari 60m3 di legna. Nei successivi 3gg del procedimento, che durava in tutto 24gg, le anfore venivano scaricate.
Gli usi erano vari. Esse potevano servire per contenere vino, olio o salse di pesce.
Il vino per i romani, chiamato Merum, era molto pesante in quanto aveva circa 18° di alcool. I romani credevono che bere il vino puro fosse un'usanza da barbari così lo diluivano nell'acqua. La proporzione era 20% di vino e 80% di acqua così da abbassare i gradi alcoolici attorno a 5.
Il vino, così mescolato, prendeva il nome di vinum da cui deriva il nome odierno.
Il vino di alcune parti d'Italia era molto rinomato (Sorrentinum, etc.).
Una variante greca del vino era quella che prevedeva, già durante la preparazione dello stesso, l'imissione di acqua marina. Uno storico ci dà lee indicazioni sull'acqua da scegliere: bisognava prediligere l'acqua più profonda poichè più pulita.
Alla fine del processo c'era la filtratura del composto.
Sappiamo che l'olio d'oliva all'epoca era molto costoso (3 sesterzi era la paga media di una giornata lavorativa). L'olio d'oliva italiano era particolarmente pregiato, quello africano, invece, era di scarsa qualità ed era per lo più impiegato per l'alimentazione delle lucerne.
Al posto dell'olio d'oliva, si preferiva, quindi, utilizzare l'olio di colza o il grasso di suini o bovini.
Il burro era già noto ai romani ma veniva utilizzato per lo più per scopi terapeutici.
Queste anfore dovevano anche contenere le salse di pesce. Gli storici ci ricordano che le salse venivano preparate alternando vari strati di erbe macerate a strati di pesce (intero se piccolo a pezzi se grande) e sale. I pesci più adeguati per tale scopo erano il salmone, lo sgombero, le acciughe, le anguille e i più ricchi usavano come variante l'ostrica.
L'anfora veniva chiusa con tappi di sughero o di ceramica. Il composto veniva fatto riposare all'aperto per una decina di giorni nei primi sette dei quali bisognava mescolare una volta al giorno il composto. Alla fine del processo la salsa veniva filtrata e i vari prodotti che uscivano dall'operazione di filtraggio assumevano denominazioni differenti (quella più famosa è quella del garum, ma una parte del composto era così scarsa di qualità che veniva data da mangiare agli schiavi).
Probabilmente la morfologia delle anfore è funzionale ai metodi di trasporto. In una nave ne stavano anche 10.000! Spesso venivano creati degli strati di sabbia (anche 4 o 5) nei quali venivano interposte le anfore. La funzione del puntone era quella di poter garantire un migliore incastro. Tra un'anfora e l'altra, inoltre, venivano interposte delle fascine in modo tale da evitare il contatto reciproco e quindi la rottura in caso di movimenti accidentali.
Normalmente le anfore più grandi venivano poste al centro della stiva, mentre quelle più piccole a poppa e a prua.
Mediamente un'anfora aveva la capacità di 50l.
Alcuni studiosi si sono occupati della classificazione delle anfore in base alla loro forma tipica e al loro uso. Tali classificazioni sono: dressel e lamboglia.
Le anfore essendo costituite di materiale poroso (argilla con interclusi di quarzo e carbonato di calcio) si impregnavano della sostanza che contenevano e quindi non potevano essere riutilizzate. Spesso quindi venivano gettate via (a Roma esite un monte costituito interamente da questi cocci gettati via!). Con il tempo i romani impararono a riutilizzarle per esempio nelle volte delle cupole ma anche nelle opere di bonifica (abbiamo un esempio di quest'ultimo impiego in un sito a Sevegliano). Le anfore venivano disposte all'interno del suolo con il collo rivolto verso il basso, oppure, per i siti di grande estesione, orizzontalmente (talvota il loro collo veniva spaccato in modo tale che esse potessero essere incastrate le une nelle altre). La funzione era quella di drenare il terrreno.
Anche la manifattura delle anfore subì un declino qualitativo (lo si capisce sostanzialmente dalla presenza di interclusi interi di ghiaia).
L'uso delle anfore avvenne circa fino al VII° - VIII° sec., successivamente vennero definitivamente sostituite dalle botti che tuttavia erano già conosciute ai romani e alle popolazioni celtiche. Vi sono delle raffigurazioni di carri che trasportanto botti e anfore.
In Gallia non vennero mai trovate delle anfore provenienti dal mondo italico in quanto si pensa che la produzione celtica di vino e olio fosse soddisfacente per i propri fabbisogni.
E' stato possibile identificare la provenienza di alcune anfore in quanto portavano il sigillo con il nome della fornace nella quale erano state prodotte. Per quanto riguarda le anfore senza sigillo, gli studiosi hanno cercato di capirne la provenienza in base ai materiali di cui erano costituite ma tale studio è stato incocludente perchè i suoli argillosi della penisola erano sostanzialmente uguali lungo tutto l'adriatico.
Un altro uso delle anfore era quello funerario.

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